The Witcher: l’Hercules imbruttito
Il 20 dicembre 2019 Netflix ha distribuito sulla sua piattaforma l’attesissima serie dark/fantasy The Witcher, co-produzione americana e polacca ideata da Lauren Schmidt Hissrich (The Umberella Accademy, The Defenders, Daredevil) e diretta dall’attore e regista Mike Ostrowski (Breaking Bad, Glow, Le regole del delitto perfetto) che porta sul piccolo schermo le avventure dello “strigo” Gerald di Rivia, inventato dalla penna dello scrittore Andrzej Sapkowski.
Dato che la saga di Gerald di Rivia è stata conosciuta in tutto il mondo grazie all’adattamento videoludico, questa prima stagione, formata da otto episodi da un’ora, non poteva essere da meno per quanto riguarda l’attenzione alla grafica e ai dettagli tecnici.
Nonostante la grande varietà di scenari, che passano da foreste immerse in una nebbia lattiginosa a sfavillanti balli illuminati dalla magia, l’attenzione alle immagini è curata nei minimi particolari, a cominciare dai costumi ideati da Tim Aslam (Il filo nascosto, Les Miserables) sino alle scenografie di Naomi Moore (Robin Hood, American Assassin).
A ciascuno dei personaggi principali viene “assegnata” un’atmosfera e un corrispettivo bagaglio di scelte tecniche, tanto che vedremo il nostro Gerald combattere in oscuri scantinati contro raccapriccianti mostri in computer grafica e diafane principesse scappare in boschi immersi nella luce dell’alba.
La trama è densa sia di alcuni topoi della letteratura fantastica che dei film d’azione degli anni ‘80/’90 (vediamo quanti ne riuscite a trovare): Gerald di Riva (Henry Cavill) è un tenebroso witcher, ovvero un essere umano geneticamente modificato con la magia e addestrato a uccidere mostri di ogni tipo; accompagnandosi a un menestrello chiacchierone di nome Ranuncolo (Joey Batey), vaga per il mondo racimolando taglie e aiutando monarchi a salvare i loro reami in guerra. Nel corso dei primi cinque episodi la sua storia prosegue parallela a quella dell’aspirante maga Yennefer di Vengerberg (Anya Chalotra) e della principessa Cirilla (Freya Allan), sino al momento in cui i loro destini si intrecciano in maniera indissolubile.
L’insieme delle sotto trame di ciascun episodio di certo non brilla per originalità e a una prima visione distratta si potrebbe quasi dire che The Witcher sembra un remake in chiave fantasy dell’iconica serie del ’95 Hercules prodotta da USA Network e che Gerald sia semplicemente un Hercules “imbruttito” poco family friendly e con un talento innato nell’esclamare “Cazzo!” nei momenti di spannung.
Ma la tecnica epica di George R.R. Martin ormai ha fatto scuola e sebbene non si possa contare su un intreccio narrativo corposo, vediamo comunque la storyline dipanarsi tra flash back introspettivi e collegamenti temporali impensabili.
Proprio come Tyrion Lannister, il personaggio della maga Yennefer è riuscito a catalizzare su di sé la simpatia della maggior parte degli spettatori per via delle battaglie personali (body shaming, emancipazione) affrontate, ma non occorre uno sguardo professionale per vedere che invece l’evoluzione psicologica più importante si svolge proprio in Gerald che tra un grugnito e un’imprecazione riesce ad accettare il proprio destino, quello di doversi prendere cura di Cirilla. A sua volta, la principessa impara a cavarsela da sola per riuscire a trovare il proprio misterioso protettore, dopo aver perso tutto ciò che amava.
Henry Cavill abbandona le vesti del suo sfortunato Superman e con un climax di mimica facciale riesce a far trasparire poco a poco la crescente emotività del suo “strigo” – facendoci dimenticare quell’orribile parrucca albina che tuttavia non scalfisce la sua virile bellezza.
The Witcher va gustato come un prodotto di qualità tecnica dell’era post Game of Thrones di cui è debitore per alcuni dettagli grimdark – non dimentichiamoci alcune scene dal forte sapore splatter- ma è principalmente figlio della narrativa fantasy di fine ventesimo secolo in cui le personalità chiaro-scure ancora prevalevano su quelle grigie alla Jamie Lannister; oltre a ciò è senza dubbio un prodotto indirizzato a un pubblico dai sedici ai venticinque anni, che potrebbe sia apprezzare il videogioco che l’accuratezza di un mondo fantasy con elfi, maghi, streghe, mostri ma senza buonismo dilagante.
Siamo ormai giunti alla conclusione che Netflix, dopo la produzione della serie Sabrina, stia cercando di sfornare prodotti dark/fantasy con uno stile narrativo basilare che possano soddisfare i palati sempre più forti dei nostri adolescenti e magari creare anche una sorta di effetto nostalgia nei pluri-trentenni cresciuti con gli action pre-duemila.
Ilaria Condemi de Felice
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