Tra western e racconto tragico: la recensione del film Il muto di Gallura

All’anteprima nuorese de Il Muto di Gallura il regista Matteo Fresi (Le bolle di Marat) e alcuni attori del cast (Giovanni Carroni, Marco Bullitta, Lorenzo Mattu, Stefano Mereu) sono stati lieti di poter presentare dal vivo la nuova pellicola di ambientazione sarda distribuita dalla Fandango e da Rai Cinema che uscirà nelle sale nazionali il 31 marzo.

La tragica storia della faida del paese Aggius ha fatto conoscere a tutta la Sardegna la controversa figura del bandito Bastiano Tansu, alla quale si ispirò lo scrittore sassarese Enrico Costa che nel 1884, due decenni dopo la fine degli eventi narrati, pubblicò il romanzo Il Muto di Gallura e consentì anche al pubblico italiofono d’oltremare di conoscere questa funesta saga familiare. Fresi non fa mistero delle proprie origini galluresi e nemmeno dell’ammirazione per l’opera di Costa che, come era uso a suo tempo, non disdegnò di romanticizzare il personaggio del bandito sardo, dipingendolo come un fragile outsider trascinato in eventi catastrofici; un Joker ante-comics in pratica.

E gli elementi romanzeschi infatti si sprecano in questa pellicola dal soggetto rural crime: la storia comincia con la festa di fidanzamento tra Pietro Vasa (Marco Bullitta), cugino di Bastiano (Andrea Arcangeli), e una giovane della famiglia Mamia; tra danze e musica, a cui Bastiano non può partecipare, non mancano sguardi di odio tra la famiglia dello sposo e il clan dei Pileri, amici della famiglia della sposa. Poco prima del matrimonio il capo della famiglia Mamia (Giovanni Carroni) chiede a Pietro di mettere da parte il rancore per i Pileri – con cui la famiglia Vasa aveva avuto problemi di “cattivo vicinato” – ma il futuro sposo rifiuta perché altrimenti passerebbe per debole davanti a tutto il paese e perderebbe l’onore, quindi rompe il fidanzamento.  Un affronto del genere non può che essere ricambiato con del “plomo” e infatti Pietro viene riportato in fin di vita a casa propria e chiede vendetta a Michele Tansu, amatissimo fratello di Bastiano, che atteggiandosi a un Clint Eastwood “de noantri” comincia la sua vendetta; mentre Pietro si riprende, Michele sparisce misteriosamente, lasciando solo una pozza di sangue e un dolore straziante nel cuore del fratello.

Da ragazzo introverso Bastiano diventa una belva feroce: tutte le leggi non scritte sull’onore vengono infrante e ha così inizio una faida di dieci anni che porta alla morte di settanta persone e al quasi sterminio di due intere famiglie. A commentare questa vicenda ci sono sullo sfondo i personaggi del sacerdote del paese e del capo delle guardie piemontesi, due “continentali” portavoci uno dell’antichissima legge di Dio, auspicante al perdono, e l’altro di quella del modernissimo regno sardo-piemontese; i dialoghi “didascalici” tra queste due figure si sprecano e servono a introdurre lo spettatore contemporaneo, quello dell’epoca del politically correct e dell’inclusività, in una società che non è poi così tanto arcaica rispetto a quella in cui vivono antieroi come Genny Savastano e Ciro l’Immortale.

La regia è riuscita a caricare la figura di Bastiano di più significati simbolici: all’inizio la sua disabilità serve a renderlo più sensibile di fronte alle piccole gentilezze e al tempo stesso estraneo ai complicati meccanismi del codice della vendetta, non finché la vista del sangue del fratello trasforma la sua sordità in un espediente per essere indifferente alle suppliche e alle richieste di perdono.  Mentre i personaggi del cugino Pietro e del capo-clan dei Mamia seguono, nel bene e nel male, le leggi degli uomini, con tutte le loro debolezze, Il Muto diventa una figura quasi leggendaria, considerato una creatura infernale, che con la sua mira infallibile massacra chiunque, senza nemmeno uscire dalle ombre del bosco.

Questo lato “soprannaturale” della pellicola è continuamente risaltato dagli effetti visivi del film: nella prima parte della storia si approfitta della luce naturale e delle location all’aria aperta, facendo in modo che l’etereo Andrea Arcangeli risulti quasi un Adamo non ancora sedotto dal Male, e soprattutto si dà grande risalto alla musica tradizionale e ai colori sgargianti dei costumi sardi; ma più la storia si incupisce e più prendono il sopravvento i paesaggi notturni delle ombrose montagne galluresi e il suono si fa sempre più flebile, concedendo alla fotografia di focalizzarsi sui contrasti simbolici della storia (gli occhi chiari del Muto nella selva, il colore del sangue sulla terra bianca, etc..).

Nonostante la critica abbia notato l’indiscutibile somiglianza con alcune iconiche scene di Sergio Leone, la pellicola si dimostra rispettosa della tradizione letteraria ottocentesca a cui apparteneva Costa -ricordiamo che neanche D’Artagnan risparmiava le stoccate di spada- soprattutto nel ritmo della narrazione abbastanza action, con rocambolesche fughe da tentati agguati e camminate smargiasse, ma non mancano influenze dei drammi shakespeariani (casate rivali, amori contrastati)  soprattutto sul finale, dove lo spettatore è portato a credere in una quasi lieta conclusione ma in cui l’ironia tragica continua a farla da padrona.

In sostanza la storia coi suoi caratteri primitivi e i personaggi veraci non può che definirsi “sarda” e si spera che il pubblico non si faccia scoraggiare dalla recitazione in dialetto gallurese e vada al cinema a gustarsi questo nuovo capitolo della cinematografia isolana.

Ilaria Condemi de Felice

PRO CONTRO
  • Recitazione degli attori.
  • Fotografia.
  • Ritmo veloce.
  • La recitazione in lingua sarda gallurese potrebbe essere ostica per alcuni spettatori.
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4 Responses to Tra western e racconto tragico: la recensione del film Il muto di Gallura

  1. salvatore puggioni ha detto:

    Bellissima recensione che conquista il lettore, che anche non avendo visto il film ne resta suggestionato da tale descrizione e stimolato ad andare a vederlo. Brava Ilaria, come sempre

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  2. Ignazio BERRIA ha detto:

    Critica lucida e puntuale senza infingimenti. Porta chi legge ad immaginare protagonisti e scene in cui si muovono. Mi congratulo con Ilaria e faccio i complimenti al mio amico Mario, suo padre, che l’ha stimolata in quella direzione.

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  3. Silvestra Pittalis ha detto:

    Una narrazione del film che mentre si legge la critica sembra di essere in sala a guardarlo. Brava!

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  4. Mariuccia Gattu Soddu ha detto:

    Meravigliosa recensione della bravissima Ilaria Condemi De Felice! In gioventù avevo letto con vera passione il romanzo “Il muto di Gallura” e ne ero rimasta sconvolta oltre che coinvolta; ma la mia GRANDE compaesana Ilaria mi ha non solo rinfrescato i ricordi, ormai sbiaditi nel tempo, di quella appassionante lettura ma mi ha arricchito spiritualmente per la sua analisi esaustiva sotto ogni punto di vista oltre che dal punto di vista cinematografico! Potessi esprimere un voto direi che merita il massimo! Complimenti! Prometti bene, cara Ilaria! Ti auguro tanti successi e soddisfazioni nel percorso del tuo lavoro che sa di di bravura e di profonda intelligenza e cultura!

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