Venezia 73: La región salvaje
Angel (Jesus Meza) e Ale (Ruth Ramos) sono bloccati in un matrimonio infelice, privo sia d’amore che di appagamento sessuale. Lui la tradisce con Fabian (Eden Villavicencio) fratello di lei, che però non ama e Ale soffre una frustrazione di cui non riesce a vedere la fine. La sua vita cambia quando conosce Veronica (Simone Bucio) e il suo sconcertante segreto: una forma di vita aliena tenuta all’interno di un capanno in mezzo al bosco, in grado di soddisfare ogni appetito sessuale.
Quando però il cadavere di Fabian viene trovato nudo in un torrente, arriva il momento di affrontare la verità.
La región salvaje, a discapito di avvertimenti quali sci-fi horror e tentacle-porn, è a tutti gli effetti un film dai contenuti di carattere squisitamente sociale. Invita ad una riflessione più approfondita, e per certi aspetti meno scontata, sul ruolo della donna e sull’emancipazione femminile, legate spesso con un doppio nodo a problematiche quali l’abuso di potere e la violenza domestica.
Una storia su un nucleo famigliare di persone infelici, con una quotidianità fatta di bugie e di amori guardati attraverso uno specchio deformante, che svela come tutti rischiamo di diventare dei mostri quando raggiungiamo il nostro limite.
Il film fa leva sul non detto, attraverso una narrazione che grazie al montaggio rende la storia meno chiara di quanto non avrebbe potuto essere. Una scelta sicuramente fatta di proposito e che indubbiamente ha il merito di mantenere l’attenzione dello spettatore sempre attiva, nella speranza di riuscire a cogliere qualche dettaglio in più che aiuti a dipanare l’accaduto.
Il problema è che, per quanto questo meccanismo funzioni durante la visione, a posteriori quella sensazione di aver visto qualcosa non tanto di volutamente indefinito, quanto di effettivamente incompiuto, permane.
Il film di Amat Escalante si mantiene a metà strada su tutti i fronti, sia narrativi che delle storyline specifiche dei personaggi, risultando in parte un’occasione persa. Manca di mordente.
Lo stesso alieno “tentacoloso”, trovata di per sé geniale, resta in un limbo di non detto. La sua presenza appena accennata all’inizio del film viene svelata completamente solo verso la fine, con una definizione visiva tale da cozzare prepotentemente con questo alone di ambiguità che avvolge il film in tutti gli altri suoi aspetti.
Nonostante le sue mancanze, La región salvaje rimane un tentativo coraggioso di fare cinema di interesse sociale avvalendosi di mezzi inconsueti, con una regia in grado di mantenere lo spettatore partecipe e delle interpretazioni superbe.
Susanna Norbiato
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