Come il vento, la recensione
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Arriva nelle sale italiane Come il vento, presentato fuori concorso all’ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, diretto da Marco Simon Puccioni (Quello che cerchi, Riparo) e interpretato da Valeria Golino e Filippo Timi. Il film si ispira liberamente alla vicenda biografica di Armida Miserere, una delle prime direttrici di numerose carceri italiane ma, soprattutto, una donna forte, coraggiosa e determinata. Siamo negli anni in cui la mafia teneva la nostra Penisola in pugno e per Armida (Valeria Golino), sola in un mondo di uomini, ogni giorno rappresenta una sfida per far rispettare le regole a detenuti e colleghi, non piegarsi alle continue minacce, non scendere a compromessi. A confortarla, è la presenza del suo compagno Umberto (Filippo Timi), educatore del carcere di Opera impegnato nelle attività di riabilitazione dei detenuti; un uomo passionale, premuroso e solido che la fa sentire al sicuro, addirittura felice. Ma quando, una tragica mattina, Umberto viene ucciso dalla ‘ndrangheta ad Armida manca la terra sotto i piedi. Questa perdita incommensurabile non sarà, purtroppo, l’unica tragedia personale che la donna si troverà ad affrontare nel corso della sua breve, tormentata vita….
Come il vento è la storia, intensa e potente, di una donna vulnerabile e devastata nell’animo quanto indomita e tenace nella sfera pubblica. Il tempestoso mondo di Armida viene raccontato, sigaretta dopo sigaretta, attraverso il suo sguardo malinconico e i suoi modi sommessi ma decisi. Dopo la scomparsa del suo amore, decise di vivere esclusivamente per il lavoro; ed ecco che la seguiamo nei continui trasferimenti da Lodi a Pianosa (il supercarcere riaperto per sorvegliare i mafiosi più pericolosi in cui era unica donna su un’isola di 1500 uomini) a l’Ucciardone di Palermo, dove ottenne l’applicazione senza deroghe del regime 41/bis. Senza mai lasciarsi intimidire né scoraggiare, riuscì sempre a guadagnarsi il rispetto dei colleghi e la stima per la corretta intransigenza con cui compiva il proprio dovere. Ma fino a che punto può una persona, senza più nulla da perdere ma disperatamente bisognosa d’amore, reprimere dentro di sé il proprio dolore e trovare l’energia per andare avanti?
Lo spettatore cinematografico, probabilmente, sarà già al corrente del destino di Armida; ne avrà letto sui giornali o ascoltato in televisione. Tuttavia, non potrà certo restare indifferente di fronte alla vicenda straziante e fiera di una donna che, fino a che ha resistito, ha combattuto affinché il proprio lacerante dolore non l’annientasse e consacrato tutta se stessa alla lotta per la giustizia. Tuttavia, nonostante si riconosca e condivida l’urgenza e la necessità di rendere omaggio a una figura di tale statura morale, forse la pellicola in questione non rappresenta la maniera adatta.
L’impianto filmico è dominato da tinte cupe e fosche ma anche da una lentezza inesorabile che, se nella prima parte si accompagna a una piacevole dose di spunti narrativi e una buona caratterizzazione dei personaggi, nella seconda pesa fin quasi a trascinarsi. Probabilmente questa scelta registica vorrebbe essere funzionale metafora del macigno che pesa sul cuore della protagonista, ma l’attenzione dello spettatore è destinata inevitabilmente a venir meno e il coinvolgimento empatico a lasciar posto alla noia. A proposito, d’altro canto, della tematica mafiosa, presenza costante ma mai veramente esibita (si accenna all’arresto di Giovanni Brusca e al destino di Falcone e Borsellino), è evidente che il suo reale scopo sia mostrare, ancora attraverso la solitudine della protagonista, come questa riesca a strappare alla vita, isolando in un’angosciante realtà priva di certezze e punti di riferimento.
È pregevole che il regista non abbia ceduto alla tentazione agiografica e, piuttosto che fare di Armida un’eroina, abbia scelto di indagarne con rigore la dimensione affettiva e lavorativa; il suo stile, però, talvolta fa pensare più a un prodotto televisivo che a un lungometraggio destinato al grande schermo, e questo ne penalizza l’impatto emotivo. La performance sussurrata e severa della Golino e quella semplice e ombrosa di Filippo Timi, inoltre, per quanto valide, non appaiono particolarmente degne di nota. Buone le interpretazioni dei comprimari Francesco Scianna (Baarìa, Vallanzasca) e Chiara Caselli (Il Passato è una terra straniera, Mr.Nobody).
Come il vento non esprime giudizi né solleva polemiche, limitandosi a raccontare con onestà e silenzi eloquenti la vicenda autentica di una donna che ha consapevolmente immolato la propria vita sull’altare dell’integrità a ogni costo, ma che non desiderava altro che il conforto di un affetto.
Il film, una produzione Intelfilm/Les Films du Present, in collaborazione con Rai Cinema, è distribuito dalla Ambi Pictures di Andrea Iervolino e Monika Bacardi.
Chiara Carnà
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