Alien: Covenant, la recensione

Nel 2012 la nave spaziale scientifica Prometheus portò un equipaggio di terrestri sulla luna LV-223, alla ricerca delle origini della vita umana e con essi viaggiò anche lo spettatore, impegnato a scoprire gli eventi che hanno narrativamente preceduto quelli di Alien, il cult indiscusso del genere fanta-horror. A ben 33 anni dall’uscita del primo film e a 15 dall’ultimo Alien “puro” (Alien: La conazione), Prometheus non solo aveva il pregio di aprire un vero universo attorno alle claustrofobiche mura della saga, ma la riconduceva anche nelle mani del suo creatore, Ridley Scott. Ma c’è un “ma”… Prometheus ai più non è piaciuto perché considerato troppo “estraneo” alle atmosfere e alle suggestioni della saga e al botteghino non ha performato così bene come la Fox aveva sperato. Ciò nonostante, Scott ha subito messo in cantiere un sequel, inizialmente intitolato Paradise, che la Fox ha portato avanti parallelamente all’idea di continuare la saga con un sequel che riportasse in scena Sigourney Weaver, aka Ellen Ripley. Da una parte c’era dunque il sequel del prequel sempre nelle mani dell’eminente Scott, dall’altra l’idea di un Alien 5, al cui sviluppo artistico si era auto-candidato il talentuoso regista di District 9 Neill Blomkamp.

Tra i due progetti solo uno si è concretizzato, indovinate quale?

Alien: Covenant è il nuovo titolo del fu Paradise, che arriva ben cinque anni dopo Prometheus per una precisa strategia di restyling su quello che ai più non aveva soddisfatto. Dando un colpo al cerchio e uno alla botte, Alien: Covenant cerca di fare contenti un po’ tutti, sia i detrattori del precedente film che volevano più Alien (e la rititolazione è un’esplicita dichiarazione d’intenti), sia chi cerca invece una coerenza narrativa con quel bizzarro e coraggioso prequel che è stato Prometheus.

Ma quando si cerca una strada di questo tipo, si sa, si può finire per non accontentare nessuno, che è un po’ quello che è accaduto con Alien: Covenant.

Dieci anni dopo il fallimento della missione Prometheus e la scomparsa di tutto il suo equipaggio, l’astronave USCSS Covenant è in viaggio verso Origae-6 per una missione di colonizzazione. Sulla Covenant viaggia un team misto tra scienziati e militari che trasportano oltre 2.000 embrioni umani. Un’esplosione stellare, però, causa grandi danni all’astronave, uccidendo alcuni membri dell’equipaggio – tra cui il capitano Brenson – e svegliando prematuramente dall’ipersonno i restanti. Visto che Origae-6 è ancora lontano anni luce e la Covenant è danneggiata, il nuovo comandante Oram decide di atterrare su un pianeta vicino da cui hanno ricevuto una strana trasmissione che dà l’impressione di essere una richiesta d’aiuto. Mentre una parte dell’equipaggio rimane sulla Covenant, il restante scende sul pianeta, scoprendo che è molto simile alla Terra e su cui potrebbe spostarsi la loro opera di colonizzazione. Ma quel pianeta sconosciuto nasconde, in realtà, dei pericoli davvero letali.

Dopo un verboso prologo che ci dice qualche cosa in più su David, l’androide interpretato anche in Prometheus da Michael Fassbender, nello spettatore si insinua un senso di déjà-vu che subito risponde alla domanda sul come gli sceneggiatori John Logan e Dante Harper abbiano virato verso il revisionismo esplicito della saga di cui questo film porta il nome. La prima mezz’ora di Covenant, infatti, è una sorta di remake di Alien con personaggi ricalcati sulla tipologia di quelli creati da Dan O’Bannon (c’è perfino il computer Mother!), scenografie che riecheggiano la Nostromo e una scansione degli eventi che ricorda davvero molto quella del capolavoro del ’79.

Una volta che i protagonisti del film sono scesi sul pianeta del pericolo e dal pericolo sono stati letteralmente contagiati, c’è quella che a tutti gli effetti possiamo considerare la scena madre del film, con uno splatterosissimo momento di parto alieno (si, un’altra volta) che crea una cesura all’interno della storia e quello che possiamo considerare il remake di Alien si trasforma nel sequel di Prometheus. Paradossalmente è qui che il film comincia a zoppicare perché alla mancanza di coraggio della prima parte, che comunque si traduce in un dignitoso lavoro di auto-revisionismo, segue un goffo tentativo di espandere quell’interessante universo creato col film del 2012 e lo fa ridimensionando le ambizioni e trasformando quel misto di creazionismo e filosofia in un delirio di onnipotenza da parte di un singolo individuo.

Il film trasmette sensazioni contrastanti. Da una parte si è consci che la sceneggiatura abbia risentito vistosamente di rimaneggiamenti che ne hanno snaturato gli intenti originari (Paradise) per farne un film più vicino all’ottica del “vecchio” Alien, il che ne fa probabilmente il peggior Alien realizzato fino ad ora. Però è anche vero che la saga iniziata nel 1979 ci ha abituato a standard davvero molto alti (escludendo le divertenti parentesi cheap dei “Vs Predator”), dunque questo non vuol dire che un Alien non riuscito sia un brutto film se preso nella sua singolarità.

Alien: Covenant ha dei momenti di innegabile riuscita, come il suddetto momento del “doppio” parto alieno e le concitate scene d’azione che portano a un finale che sa farsi ricordare giorni e giorni dopo la visione. Così come si apprezza il rigore stilistico di Scott che dà un look vintage a tutto il film (giustamente, visto che è ambientato prima di Alien!) e strizza all’occhio, in diverse occasioni, al b-movie di un tempo, come nella scena della doccia, che fa tanto slasher anni ‘80.

Il cast, invece, funziona a corrente alterna. Katherine Waterston, che abbiamo recentemente visto nei panni di Tina Goldstein in Animali fantastici e dove trovarli, è una protagonista riuscitissima, quel misto tra fragilità e tenacia mascolina (anche nell’aspetto) che ne fa un ottimo surrogato di Ripley; Michael Fassbender, invece, non convince e risulta quasi fuori contesto con quel suo fare over-acting, debilitato anche da un personaggio scritto in maniera poco pregnante, a metà tra il colonnello Kurtz di Apocalypse Now e il Dr. Moreau del romanzo di H.G. Wells.

Sappiamo già che Covenant avrà un sequel che dovrebbe andare a chiudere la trilogia dei “pre Alien” iniziata da Prometheus, quindi non aspettatevi un film capace di rispondere a tutte le domande, piuttosto intento a generarne di nuove.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • È un film della saga Alien e quindi, se apprezzate la saga stessa, va visto a prescindere.
  • La scena madre del doppio parto alieno… già nella storia della saga!
  • Katherine Waterston.
  • In quanto film della saga Alien, non regge lo standard e si assesta su livelli abbastanza bassi.
  • Michael Fassbender e il suo androide.
  • Troppo indeciso se essere un Prometheus 2 o un remake di Alien.
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Alien: Covenant, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

2 Responses to Alien: Covenant, la recensione

  1. Fabio ha detto:

    Ottima rece scritta benissimo, che però non condivido, a parer mio dopo il pessimo e inutile Prometheus,Scott si rimette in carreggiata e ci regala finalmente un nuovo Alien, cupo, girato benissimo e con ottimi attori, trovo che Fassbender nel doppio ruolo sia da oscar, brava anche la Waterston. Poi ok, non è tra i migliori soprattutto perchè gli alien classici (gli xenomorphi)in effetti potevan avere ancora più spazio, ma cmq quando li vediamo arrivare è una goduria, mi sono commosso a rivedere la mitica bestiaccia in azione e il doppio omicidio nella doccia è uno dei momenti più belli della saga, una scena quasi slasher. Attendo con la bava (di alienXD) alla bocca il terzo prequel che si collegherà ad alien 1 🙂

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