Nureyev – The White Crown, la recensione
Oleg Ivenko è un abile e credibile ballerino, ma quando si parla di recitazione non si può dire esattamente lo stesso.
Certo, non è semplice interpretare la leggenda della danza Rudolf Nureyev nel film diretto e interpretato dal magnifico Ralph Fiennes. Già, perché anche se l’attore britannico fa da sparring partner in questo biopic dedicato al ballerino ucraino, si percepisce un abisso di esperienza e abilità in quasi tutte le scene che li vedono recitare insieme.
È facilissimo riportare le vicende e i fatti del mito, è difficilissimo raccontarlo in maniera tale da garantirgli quell’aura che lo ha reso tale. Quando si tratta di movimento artistico ripreso con tanta cura e delicatezza, c’è qualcosa di magnetico che viene fuori. Nel momento in cui la narrazione si sposta sul dialogo e sulla necessità di tracciare il ritratto dell’uomo-Nureyev questo flusso si interrompe o procede a scatti.
Gli inserti dedicati all’infanzia misera e difficoltosa e ai primi approcci con la danza diventano, nella logica del film, l’unica fonte di riferimento della sua formazione per giustificare un personaggio irrequieto, senza filtri e fondamentalmente un po’ stronzo. Soltanto dal fuoco nasce la bellezza e nella trasferta parigina che fa da contesto al film, il mito divora le bellezze dell’arte, dell’architettura e della musica dell’Occidente per tradurle in danza.
Sullo sfondo, infatti, c’è inevitabilmente la guerra fredda tra Est e Ovest del mondo, il rigore della madrepatria comunista da rispettare e la promessa di libertà, creativa e personale, della democrazia occidentale. Si carica così di tanti e diversi significati il climax finale sulla scelta della parte da cui stare e dei tentacoli da cui liberarsi una volta per tutte.
Se vogliamo accordare a Nureyev – The White Crow lo status di biopic, bisogna però anche riconoscere il gusto del regista e dello sceneggiatore David Hare (The Hour) nel non limitarsi a spiattellare nelle tre unità aristoteliche vita, morte e miracoli di un personaggio, ma nella consapevolezza di doversi concentrare su un qualcosa che potesse restituire un’idea del ballerino leggendario ad un’epoca che non gli appartiene più.
Non è un film sbagliato, non è un tentativo di sfornare a tutti i costi qualcosa di sensazionale che lasci a bocca aperta. C’è spazio per l’intimità e per l’estetica, non sempre con la stessa attrattiva e spesso con un ritmo compassato, ma la qualità in questo caso è superiore alla media.
Andrea De Vinco
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