#Alive, la recensione
L’adolescente nerd Joon-woo (interpretato da Yoo Ah-in, già apprezzato nel bellissimo Burning) passa le giornate in sessioni di gioco on-line e condivisioni di contenuti sui social network. Improvvisamente, al di fuori del gigantesco condominio dove vive, iniziano ad accumularsi grida e scontri. Accendendo la Tv, il giovane si accorge che è scoppiata un’epidemia che trasforma gli infetti in famelici cannibali assetati di sangue. Non avendo fatto la spesa per pigrizia, come riuscirà a sopravvivere con i pochi viveri che ha prima che giungano i soccorsi?
Il film di Il Cho sembra essere una sorta di racconto parallelo al funambolico e ormai già cult Train to Busan, ma in un contesto intimo e più claustrofobico. Si, perchè l’ossigenato protagonista di #Alive dovrà destreggiarsi tra continui assedi al suo piccolo appartamento, gite in avanscoperta per procacciarsi la quantità minima di cibo per andare avanti, schivando orde o zombi solitari in strettissimi corridoi e rampe di scale.
E quando la disperazione sarà totale e tenterà di impiccarsi ecco che un raggio (laser) di speranza entra nella sua stanza: nel condominio di fronte, una ragazza (Park Shin-hye) vive la sua stessa condizione di isolamento.
Inizia tra i due una curiosa corrispondenza “epistolare” tra droni volanti, messaggi scritti sul tablet ed appuntamenti prestabiliti per dare meno nell’occhio: è proprio quando i due decideranno di unirsi e stare insieme che iniziano le sequenze più action del film, che vanno a sostituire un prima parte più statica e claustrofobica.
Ma di scontro all’aperto simile al noto predecessore ce ne è solo uno, ovvero quello che riguarda il congiungimento della coppia: nel parcheggio adiacente il condominio, i due ragazzi abbatteranno non-morti a colpi di mazza da golf e piccone da montagna.
Fino a ritrovarsi, finalmente, uno di fronte all’altro e in grado di affrontare le future avversità con uno spirito rinvigorito dalla presenza dell’altro, forse gli unici umani in un mondo infestato da mostri.
#Alive ha un’ambientazione che esige soluzioni visive inventive e meno scontate: gli spazi chiusi dei corridoi fanno sì che la camera a mano ci butti direttamente nel mezzo del caos e della lotta per la sopravvivenza, ovvero si crea un diversivo visivo avvincente ed è ciò di cui ha bisogno un sottogenere super sfruttato come quello dei morti viventi.
Il senso di angoscia da quarantena, la claustrofobia, l’ansia, generi di prima necessità che finiscono e la fantasia degli espedienti messi a punto dai protagonisti sono tutti elementi che fano volare i cento minuti scarsi in un baleno.
Ciò che manca veramente a questo film è la novità: è un continuo reiterarsi di situazioni già viste in film decisamente migliori, ma che per fortuna rimedia con l’empatia generata dalla conoscenza dei due combattivi ragazzi.
E con un finale decisamente ottimista che ogni tanto, visti i tempi e la somiglianza sempre più inquietante del cinema con la realtà, vuole essere di buon auspicio per il futuro
Il film è disponibile su Netflix dall’8 settembre, in lingua originale con sottotitoli.
Stefano Tibaldi
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