Amsterdam, la recensione
Cinque candidature agli Oscar (tre come regista, due come sceneggiatore), David O. Russell si è ritagliato negli ultimi dieci anni un posto di tutto rispetto nella Hollywood che conta, da quando con The Fighter si è imposto come autore di “serie A”. Questo nonostante la sua carriera sia cominciata comunque a metà anni ’90 (tra gli altri, ha scritto e diretto il cult con George Clooney Three Kings) e abbia anche la fama di essere un vero “stronzo” sul set, con i suoi attori. Però è dal 2015 che David O. Russell era lontano dal set, ovvero dal bellissimo Joy con Jennifer Lawrence, sette lunghi anni durante i quali il regista e sceneggiatore ha dato vita alla sua opera più complessa e ambiziosa, Amsterdam.
New York, 1933. Il dottor Burt Berendsen e l’avvocato Harold Woodman sono amici inseparabili da quando il generale Meekins li ha fatti incontrare al fronte, durante la Prima Guerra Mondiale. Ora i due lavorano fianco a fianco e si trovano a indagare, per conto della figlia di Meekins, proprio sulla misteriosa morte del generale, probabilmente ucciso. Non a caso, qualcuno vuole morti Burt e Harold, motivo per cui i due si trovano a fuggire fino alla tenuta dei Voze, dove ritrovano Valerie, ex infermiera che li ha curati in guerra e grande amore di Harold. Burt, Harold e Valerie si erano rifugiati ad Amsterdam dopo la Grande Guerra, dove si erano giurati complicità e protezione reciproca, solo che la ragazza li ha persi di vista per dodici anni sviluppando, nel frattempo, una malattia neurologica degenerativa ereditata dalla madre. Ora i tre, grazie alle conoscenze di Valerie, cercheranno di scoprire il mistero attorno alla morte di Meekins e di risolvere un complotto internazionale che mina le fondamenta della democrazia americana.
Amsterdam è un film fortemente incentrato sulla scrittura. Si nota che Russell è uno sceneggiatore ancor prima che un regista e qui dichiara tutto il suo amore per le storie articolate e per i personaggi complessi, tanto da portare il suo film fino a un pericoloso breaking point, forse proprio quello che ne ha decretato l’insuccesso al botteghino in patria. Amsterdam, infatti, nei suoi 134 minuti di durata è denso di avvenimenti, personaggi, sottotrame. Un film che va seguito con attenzione, pena perdersi nell’intricata trama e tutti gli snodi che comporta, nonostante David O. Russell imbastisca un (utile) recap nell’ultimo atto che riesce a far quadrare il cerchio in maniera certosina.
Tra amicizia, amore, arte e voglia di libertà, Amsterdam si focalizza su dei valori condivisibili trasmettendo un messaggio ben chiaro mirato a promuovere la democrazia come unica strada per far crescere una società. Il linguaggio per arrivare a questo scopo è quello della commedia, anche se il film riesce a fondere con brillantezza più generi, da quello bellico a quello spionistico, utilizzando di base i canoni del noir investigativo. Ne viene fuori un’opera dall’indole leggera ma di contenuto che si costruisce attorno ai personaggi, tanti personaggi, anche se poi a spiccare sono i tre del patto d’amicizia nella città olandese: Burt, Harold e Valerie. A dar loro volto sono Christian Bale, alla seconda collaborazione con Russell, John David Washington e Margot Robbie.
Bale è alle prese con l’ennesimo irresistibile ruolo da trasformista, ne esce come il migliore del lotto per capacità espressive, stravolgimento fisico e palese divertimento nella costruzione del personaggio, mentre il figlio di Denzel Washington si conferma attore acerbo e poco espressivo con la conseguenza che il suo Harold è il personaggio più insapore del trio. Margot Robbie, affascinante e “matta” come di consueto, ha il personaggio più sfaccettato e introverso, una vera mascotte di cui è impossibile non innamorarsi.
Amsterdam, però, ha un cast davvero ricco formato da volti molto noti che vanno da Robert DeNiro a Rami Malek, passando per Anja Taylor-Joy, Zoe Saldana, Chris Rock, Michael Shannon, Mike Myers, Matthias Schoenaerts, Andrea Riseborough, Taylor Swift e un irriconoscibile Timothy Olyphant.
Come si diceva, però, Amsterdam è davvero tronfio, un pastiche tanto affascinante quanto repulsivo, un profluvio di chiacchiere, battute, sguardi ammiccanti, complotti, spiegazioni e ancora chiacchiere che possono confondere e annoiare lo spettatore medio. Qui sta il limite di David O. Russell che ha voluto replicare la formula di American Hustle complicandola e ingigantendola fino all’implosione. Il film è indiscutibilmente di qualità, ma si presta molto ad essere mal percepito e ancora peggio assimilato.
Dopo essere stato presentato nella sezione Grand Public della Festa del Cinema di Roma, Amsterdam arriva al cinema dal 27 ottobre distribuito da 20th Century Studios.
Roberto Giacomelli
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