Angel Face, la recensione

La storia del cinema ci insegna che i cattivi si rispettano. I cattivi possono arrivare a fare cose terribili e indicibili ma, nel cinema, nelle serie tv, in letteratura o a teatro, un vero cattivo si rispetta. Non si discute su questo! Chi non merita rispetto è il personaggio insopportabile, quello che prenderesti a schiaffi in ogni scena o ad ogni pagina del libro e che ci tedia con un susseguirsi di scelte ingiustificate, al di là del ruolo e dell’importanza che ricopre nella trama. Ecco: Marlène, interpretata da una seppur straordinaria Marion Cotillard, è uno di questi personaggi. Una Madame Bovary dei nostri giorni. Insopportabile, frivola, svampita, puerile.

Marlène e sua figlia di 8 anni, Elli (Ayline Aksoy-Etaix), vivono in un piccola città nei pressi della Costa Azzurra, dove si comportano in modo strano per alleviare la noia e nascondersi dai servizi sociali. Quando Marlène cede all’ennesima notte di eccessi, sceglie di abbandonare Elli per un uomo che ha da poco incontrato in discoteca. Da quel momento Elli è sola ed è costretta a confrontarsi con i demoni della madre.

Angel Face, in originale Gueule d’Ange, ovvero “faccia d’angelo” appellativo con il quale  Marlène chiama la malcapitata figlia, è un’incursione nella vita sgangherata di una mamma superficiale e disprezzabile nel comportamento verso la creatura che ha messo al mondo. Marlène è indifendibile. E’ l’emblema dell’autodistruzione. Gode di una bellezza disperata, innaffiata da cospicue quantità di alcool. Marlène è una donna senza prospettive, al limite, sempre pronta alla fuga, che trascina nella sua disperazione e nei sui stravizi una figlia di otto anni, di padre ignoto, costretta a vivere in una melma di insicurezza e precarietà che nessun bambino dovrebbe conoscere. Perché si comporta così questa donna? Non è dato sapere.

Presentato nella sezione un Certain Regard al Festival di Cannes 2018, Angel Face è l’opera prima della videoartista, sceneggiatrice, musicista e fotografa Vanessa Filho.

Il film indaga inizialmente sul ribaltamento dei ruoli e sull’ancestrale rapporto madre-figlia. Qui, di fatto, è la bambina a doversi prendere cura della madre. In un secondo momento l’opera affronta il tema dell’emulazione comportamentale che la piccola, inevitabilmente, attua nei confronti della madre. Elli è costretta a sobbarcarsi un peso troppo grande per la sua età: il ruolo di balia per una madre allo sbando, non le spetterebbe proprio. Nella seconda parte del film le due si perdono e così anche il film sembra deragliare verso altro e perde un po’ la sua integrità. Il centro della scena viene conquistato dalla straordinaria Ayline Aksoy-Etaix, che trasforma Elli nella protagonista effettiva del dramma. Davanti a cotanta magistrale interpretazione ci si chiede se la piccola star disponga di un sostegno psicologico, visto che riesce a comunicare un quantità di sentimenti contrastanti intensi: ingenuità infantile, determinazione adulta, addirittura ammiccamento.

Ad un certo punto della vicenda la saggia Elli capisce bene di non poter contare su quella madre snaturata e comprende di aver bisogno di una figura maschile, che trova in un giovane uomo solitario, letteralmente trovato per strada, al quale impone la sua presenza. Viene così inserito nella narrazione un elemento che devia completamente la direzione dell’opera. L’entrata in scena di Julio (Alban Lanoir) interrompe quel flusso di emozioni generate dalla vicenda madre-figlia e costringe lo spettatore a staccarsi dalla narrazione e a ricominciare il percorso da capo. La visione ne risente. Sarà la capacità della piccola Elli di riconciliare il suo dolore con il desiderio naturale di vivere e non di sopravvivere, il motore che salverà il film.

Altro tema che colpisce in questo lavoro di Vanessa Filho, è quello delle dinamiche di relazione tra bambini. Elli, nonostante tutto il disagio, è brava a scuola e ottiene anche il ruolo della Sirenetta nella recita scolastica. Ruolo da protagonista. I suoi compagni però conoscono le sue fragilità ed infieriscono come solo i bambini sanno fare. I bambini di Filho non sono buoni e sanno come far male davvero. Questo è un aspetto molto sincero e crudo, raccontato con sguardo acuto.

In Angel Face, saturazione cromatica, fotografia ricca, trucco e parrucco eccessivi per la Cotillard, costumi di scena zeppi di lustrini, si contrappongono ad un vuoto esistenziale drammatico che, nel bene o nel male, scuote lo spettatole. L’idea alla base è forte e importante, le interpretazioni del cast sono più che valide ed i contributi tecnici sono di altissimo livello. La splendida cornice della Costa Azzurra funge da contraltare alle disgrazie che coinvolgono i personaggi. Certo il tema non è propriamente innovativo per il cinema ma, nonostante tutto, va ricordato che ci troviamo di fronte a un’opera d’esordio, intima e difficile, nata dalla necessità e dal desiderio di raccontare la dipendenza, la solitudine, l’amore e la percezione della sua assenza. Tematiche delicate, eterogenee, piene di sfumature e stratificazioni, perfettamente racchiuse negli occhi di bambina incantata e disincantata allo stesso tempo, di “faccia d’angelo”.

Ilaria Berlingeri

 

PRO

CONTRO

La straordinaria interpretazione di Ayline Aksoy-Etaix.

La fotografia.

La totale assenza di giustificazioni nei confronti della protagonista.
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