Billy Lynn: Un giorno da eroe, la recensione

“Un individuo dotato di un grande talento e straordinario coraggio, che sa scegliere il bene al posto del male, che sacrifica se stesso per salvare gli altri, ma soprattutto… che agisce quando ha tutto da perdere e nulla da guadagnare.” Con queste semplici parole Gabriele Mainetti spiega cosa significa essere un eroe nel suo Lo chiamavano Jeeg Robot. Cos’è un eroe americano se lo sono domandati molti registi nel corso degli anni, ma nessuno l’aveva fatto dal punto di vista inedito utilizzato da Ang Lee nel suo ultimo film, Billy Lynn: Un giorno da eroe.

Quando il Billy del titolo, reduce dall’Iraq, torna in patria con i suoi compagni ad attenderlo ci sono solo feste sfarzose e brillanti onorificenze. Il pubblico li acclama come i più grandi eroi della nazione mentre i media gli avvolgono in ogni singolo momento libero.

Come pochi registi sanno fare, Ang Lee riesce a destreggiarsi tra i generi cinematografici con maestria; dopo l’esistenzialista Vita di Pi, Lee compie la sua prima incursione nei film di guerra attraverso un viaggio interiore che sembra guardare ancora al suo titolo precedente per ritmo e forza visiva. Partendo dal bestseller È il tuo giorno, Billy Lynn! di Ben Fountain, Ang Lee, pacifista convinto, scopre con una narrazione incredibilmente versatile il magico velo della spettacolarizzazione della guerra americana: dietro di essa non troviamo la gloria eterna, ma solo una vuota sacralizzazione di uno sterminio. Probabilmente questa pellicola non piacerà al neopresidente Trump.

“Essere celebrato per il giorno peggiore della tua vita”. In pochissimi giorni, Billy si ritrova a fare i conti con quello che ha lasciato a casa, quello che ha perso in guerra e soprattutto con chi è.  Abbandonati i luoghi comuni, le ottime caratterizzazioni dei personaggi lasciano spazio a sentimenti onesti e meno standardizzati: dalla voglia di giocare come dei bambini al sentirsi completamente bloccato nel parlare con una donna. C’è attrazione elementare nel film, quella tensione sessuale che Ang Lee riesce a trasmettere con piccoli gesti e non con facili scene di sesso.  

Hollywood non ha la capacità di cogliere il peso della storia di Billy: dietro ogni conflitto, trovano posto gli studios e le grandi potenze americane (lo sport, il cinema e la comunicazione di massa); per questo, Billy Lynn: Un giorno da eroe è un racconto metanarrativo fino all’estremo (si parla di realizzare un film sulle avventure dei protagonisti), tanto che, a metà della sua durata, ci siamo domandati se la guerra non sia solo un pretesto. Questo dubbio non è semplicemente legato a un fattore temporale (le scene in Iraq occupano una minima parte della pellicola grazie ad alcuni flashback), ma riguarda la scelta autoriale di non voler mostrare solo gli spari, già ampiamente raccontati al cinema, ma volerli confondere con dei colorati fuochi d’artificio.

Con un volto da bambino e uno sguardo sorridente, il semi sconosciuto Joe Alwyn riesce a costruire un personaggio fatto di incertezze e timori; la problematica sorella interpretata da Kristen Stewart meritava qualche momento in più e un grandissimo Steve Martin, nel ruolo di un ricco magnate, incarna tutto il grande sfarzo, una finzione incessante e maligna che la storia ci mostra senza remore.

Negli anni in cui un eroe è quasi sempre Super oppure è un uomo straordinario e comune (come il Sully di Clint Eastwood), Ang Lee colpisce per la capacità di riuscire a rimanere incredibilmente intimista con il percorso del suo eroe svelando un macabro retroscena. Quell’esatto momento in cui la tua storia non ti appartiene più, è dell’America.  

Matteo Illiano

PRO CONTRO
  • Un percorso interiore per smascherare la spettacolarizzazione americana.
  • Narrazione coinvolgente e abilmente metanarrativa.
  • Tensioni e pulsioni in perfetto stile Ang Lee.
  • Il personaggio interpretato dalla Stewart poteva essere sfruttato di più.
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