BoJack Horseman: quando Fedro incontra Don Draper

Il 22 agosto 2014 Netflix non sapeva – o forse sì – che pubblicando la prima stagione di BoJack Horseman avrebbe fornito il collegamento definitivo tra serie animata e serie d’autore.

Sì, perché nonostante i lungometraggi animati siano riusciti da un bel po’ a strapparsi di dosso il pregiudizio di essere un prodotto dai contenuti “leggeri” o per un pubblico giovanile, i “cartoni animati” americani ed europei per la tv e l’home video dovevano ancora fare il grande balzo, così come lo fecero le serie tv agli inizi degli Anni Duemila.

Se I Soprano spalancarono le porte per far entrare la critica professionale nei meandri dei palinsesti del tubo catodico, il cavallo umanoide creato da Raphael Bob-Waksberg (The Lego Movie 2, Tuca e Bertie, Undone) e disegnato dalla fumettista Lisa Hanawalt ha invitato a nozze non solo critici cinematografici, ma anche sociologi, antropologi, filosofi e soprattutto psicologi: tanto grande è il potenziale ermeneutico della sceneggiatura.

BoJack è un cavallo antropomorfo con la testa equina e il corpo umano che vive in una Hollywood molto verosimile a quella attuale, in cui “animali” e persone di tutte le etnie e orientamenti sessuali sgomitano per avere un posticino nello star system. Il nostro narcisistico antieroe di cinquant’anni trascorre la sua vuotissima esistenza tra alcol e sesso, cercando di raccogliere gli ultimi frutti della fama donatagli dalla sitcom per famiglie Horsin’Around di cui era il protagonista assoluto vent’anni prima.

BoJack Horseman

 La sua manager ed ex-fidanzata Princess Carolyn è un’intraprendente gatta rosa che cerca di rimediargli qualche comparsata di tanto in tanto ma all’ultimo, dato che la popolarità di Bojack sta giungendo al capolinea, decide di ingaggiare un ghostwriter per far pubblicare un’autobiografia accattivante del suo assistito, in modo da riattirare l’attenzione del grande pubblico.

Entra così in scena l’aspirante scrittrice/giornalista Diane Nguyen, una trentenne di origine vietnamita dalla polemica facile e fidanzata col labrador Mr. Peanubutter, la nemesi televisiva ed esistenziale di BoJack.

Diane dovrà stare a stretto contatto col nostro Cavallo Goloso (di alcol) e il suo coinquilino/amico Todd Chavez per cercare di carpire tutte le sfumature della sua complicata personalità e tirare fuori un ritratto rispettabile; non ci vuole un genio per capire che, nell’arco di tutte e sei le stagioni,  l’unica cosa che uscirà fuori da queste premesse sarà la legione di demoni interiori non solo di BoJack ma ti tutti i protagonisti principali: Diane lotterà per portare avanti il suo matrimonio con l’iperattivo Mr. Peanubutter e il suo insospettabile egocentrismo, Princess Carolyn cercherà di far decollare la propria carriera e al tempo stesso diventare una madre e Todd dovrà abbandonare il divano del suo Anfitrione.

BoJack Horseman

L’universo degli attori di BoJack Horseman è sconfinato: partendo da personaggi reali – o meglio dalle loro caricature – come l’onnipresente Margo Martindale, sono presentate tutte le tipologie umane e non che si possono incontrare nel mondo dello spettacolo e soprattutto nella vita (conigli ebrei con relazioni clandestine, paparazzi uccelli, pinguini capi di case editrici “in estinzione”, telegiornalisti balene, registe lesbiche femministe, dolci cerbiatte ingenue e vecchie tartarughe manager); in una caleidoscopica successione di eventi surreali (parliamo di Todd che salva il mondo grazie a un’agenzia di delfine spogliarelliste e una tonnellata di scolapasta) si scandagliano i temi attuali più scottanti come la depressione, la dipendenza affettiva, l’alcolismo, l’aborto, la dipendenza da sostanze stupefacenti, l’elaborazione del lutto, etc.

La strabiliante omogeneità dei dialoghi, che tuttavia in certe parti risente di quella eccessiva verbosità citazionista tipica dei prodotti Netflix,  alterna momenti di acuta ironia (Sarah Lynn che si sveglia cantando come una principessa Disney ma al posto di allegri fringuelli fuori dalla finestra trova degli uccelleschi paparazzi) con scene dall’introspezione psicologica davvero conturbante che viene imbrigliata  in “rassicuranti” disegni dai colori vivaci e i tratti tondeggianti – chi non coglie il poco sottile riferimento tecnico all’iconica serie animata Daria merita di non poter più scroccare Netflix.

BoJack Horseman

Sarebbe troppo facile dire che sembra che Bob-Waksberg, dopo aver visto per caso delle illustrazioni di libri per bambini, abbia shakerato “l’umana bestialità” presente nelle favole di Fedro con la “chiccosa” depressione di Don Draper, protagonista di Mad Men, e de I Soprano  per dare sfogo a quella sottospecie di turpe piacere che si prova nel demolire i protagonisti senza macchia e senza paura della nostra infanzia; invece pontificheremo che, oltre a quanto soprascritto, BoJack Horseman è l’affresco più realistico che si poteva desiderare sia del Grande Sogno Americano che della fragilità umana, la Divina Commedia animata che stavamo aspettando per canonizzare la sacra arte dell’illustrazione in movimento.

Ilaria Condemi de Felice

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