Creed – Nato per combattere, la recensione

L’avventura del pugile italoamericano Rocky Balboa è iniziata quarant’anni fa, quando con il capolavoro Rocky, Sylvester Stallone si fece conoscere dal grande pubblico, inaugurando una lunga saga che è arrivata al sesto film nel 2006. Ma se tutti pensavamo che l’epopea dello Stallone Italiano fosse terminata con quella commovente opera che aveva quasi il sapore dell’addio, ci sbagliavamo perché oggi, a distanza di altri dieci anni, Rocky Balboa torna sul grande schermo con Creed – Nato per combattere, un avvincente e anche un po’ furbetto spin-off che mette al centro della vicenda il figlio dell’avversario storico di Rocky: Apollo Creed.

L’idea di fare uno spin-off di Rocky era nella mente di Stallone da tempo e finalmente si è concretizzata nel migliore dei modi. Creed – Nato per combattere è costruito in maniera esemplare perché è un film celebrativo ma allo stesso tempo riesce ad essere più cose: di base si tratta di uno spin-off, è costruito come un remake, ma è anche un sequel. Di solito non ci si sbaglierebbe a diffidare da opere di questo tipo, tentativi di spremere l’osso o – peggio – raschiare il fondo del barile di un qualche cosa che è stato di successo, ma Creed è un prodotto di sincera e assicurata qualità.

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In quanto sequel, il film ci riporta a Philadelphia a dieci anni dall’ultima volta che abbiamo visto sul ring Rocky Balboa e ritroviamo l’ex pugile (che stavolta è ex davvero) intento a gestire il suo ristorante, Adriana’s, ormai nella più completa solitudine, dopo che anche Paulie l’ha lasciato. L’incontro con Adonis Johnson, ovvero il figlio del suo storico rivale e amico Apollo, gli dà nuova speranza nel futuro, impegnandolo in veste di allenatore per il promettente figlio d’arte.

In quanto spin-off, Creed non si concentra su Rocky, anche se lo Stallone Italiano ha forse più spazio di quello che potevamo immaginare, ma eleggendo a protagonista il figlio di un personaggio secondario. Adonis non ha mai conosciuto suo padre, morto prima che nascesse, ma è cresciuto con il mito della boxe e del genitore. Testa calda fin da bambino, abituato a entrare ed uscire da orfanotrofi e riformatori, Adonis ha deciso di tenere il cognome della madre per farsi strada nel mondo del pugilato senza essere etichettato come “raccomandato”.

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La formazione e l’indole di Adonis sono estremamente diverse da quelle di Rocky, per certi versi opposte, e in comune c’è solo la caparbia e l’amore per una donna che potremmo definire fuori dal comune. Se Rocky aveva l’outsider Adriana, bruttina e vessata che trova nel pugile l’unico uomo che l’abbia davvero amata, Adonis incontra Bianca, una ragazza testarda e dai modi scorbutici che utilizza il suo carattere forte per mascherare la sua fragilità, legata anche a una perdita progressiva dell’udito. E pensare che di professione fa la cantante!

Nel suo differenziarsi da Rocky, Creed finisce – a un certo punto – per ricalcarlo, prima nella struttura, poi in alcuni momenti topici e svolte narrative, facendo quasi pensare a un tentativo celato di remake. Una scelta ben precisa che possa strizzare l’occhio il più possibile ai fan della saga originale e far conoscere ai più giovani personaggi provenienti da un film che aveva un meccanismo narrativo perfetto.

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Se Sylvester Stallone torna a vestire i panni di Rocky come mai l’avevamo visto fino ad ora, stanco e realmente invecchiato, il che gli è valso anche Un Golden Globe, il testimone passa nelle mani del giovane e bravo Michael B. Jordan, già Torcia Umana nello sfortunato Fantastic 4 e protagonista di Prossima fermata: Fruitvale Station, diretto da Ryan Coogler, regista e sceneggiatore anche di Creed. E nella regia risiede anche un grande merito di questo film perché Coogler, scelto dalla Marvel per dirigere Black Panther, sa come muovere la macchina da presa e soprattutto sa dare agli incontri di boxe una personalità unica. Il primo incontro di Adonis, per esempio, è ripreso con un lungo piano sequenza che lo rende particolarmente avvincente, in seguito c’è tanta macchina a spalla, per sottolineare il nervosismo e l’irruenza del giovane protagonista.

Se la cava molto bene anche Tessa Thompson, che ricordiamo nell’horror Chiamata da uno sconosciuto, nella serie Veronica Mars e in Selma – La strada per la libertà, che qui ha il ruolo della cantante Bianca, un ruolo di maniera a cui la Thompson riesce a dare una particolare intensità.

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Le musiche che hanno reso iconica la saga di Rocky vengono riadattate timidamente nelle scene clou, così come l’allenamento di Adonis non può che richiamare quello del suo coach, ma l’intuizione di Creed sta anche nel far combattere al pugile e all’ex pugile entrambi una lotta, da una parte fomentante, dall’altra perfino commovente. Perché alla fine Creed sa anche toccare il cuore pur non percorrendo mai la strada del film nostalgia (cosa che per esempio faceva Rocky Balboa), piuttosto è un film celebrativo che in più occasioni riesce ad accarezzare la sensibilità di chi le avventure di quel pugile di Philadelphia le ha seguite negli anni.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Riesce a destreggiarsi tra la natura di spin-off, sequel e il tentativo di reboot.
  • Emozionante soprattutto per chi Rocky lo ha amato negli anni.
  • Ottimi attori e grande Stallone.
  • Coogler ha fatto un ottimo lavoro nella direzione degli incontri di boxe.
  • Scopriamo chi ha vinto l’incontro a porte chiuse tra Rocky e Apollo alla fine del terzo film.
  • È un po’ furbetto nel trattare il personaggio di Rocky.
  • Segue nella struttura il primo film della saga.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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