Dampyr, la recensione

Nel gennaio del 1941 iniziava l’attività editoriale di Giovanni Luigi Bonelli nel mondo dei fumetti, che nel 1957 passava nelle mani del figlio Sergio; ma bisognerà attendere fino al 1988 e tanti successi editoriali prima che quella casa editrice leader in Italia nel settore dei fumetti prenda il nome di Sergio Bonelli Editore. È dal 2011, ormai, che Sergio Bonelli non c’è più, ma la sua incredibile eredità ha continuato a produrre mondi fantastici e a far sognare milioni di lettori fino ad arrivare, ora nel 2022, a un importante step che sicuramente avrebbe entusiasmato non poco il grande fumettista ed editore: la nascita di Sergio Bonelli Entertainment.

Un po’ sull’orma dei successi dei cinecomic americani degli ultimi vent’anni, soprattutto quelli che appartengono a storiche realtà editoriali come Marvel e DC, Sergio Bonelli Editore ha finalmente avviato la realizzazione di un universo mediale espanso sulle proprie IP. Il primo approdo è il cinema e a inaugurare questo importante inizio è Dampyr, lungometraggio diretto dall’esordiente Riccardo Chemello e basato sul personaggio creato nel 2000 da Mauro Boselli e Maurizio Colombo.

Per chi fosse a digiuno di fumetti, Dampyr è un fumetto fanta-horror con forti contaminazioni drammatiche e digressioni etnico-antropologiche che esce a cadenza mensile dall’aprile del 2000 ed è ormai arrivato a quasi 300 numeri della serie regolare. Il protagonista è Harlan Draka, un dampyr, ovvero il figlio di un potente vampiro e di una donna mortale, quest’ultima morta nel darlo alla luce. Dotato di grandi poteri come l’auto-rigenerazione, una forza fuori dal comune e l’invecchiamento rallentato, il dampyr è l’unico a poter uccidere i vampiri grazie al suo sangue e al suo intuito. Insieme a due improbabili alleati, il mercenario Kurjak e la vampira rinnegata Tesla, Harlan va alla ricerca dei Maestri della Notte, una razza di potenti vampiri “originali”, dei quali fa parte anche suo padre Draka, che si muovono nell’anonimato vivendo del dolore e della morte degli uomini con l’obiettivo di controllare sudbolamente l’umanità.

Da queste premesse nasce e si sviluppa un parco di personaggi molto affascinante che avrà modo di crescere nel corso degli oltre vent’anni di vita editoriale, ma il film che porta la firma in sceneggiatura dello stesso Mauro Boselli, insieme a Giovanni Masi, Alberto Ostini e Mauro Uzzeo, parte giustamente dal principio adattando con una estrema fedeltà il primo numero, Il figlio del Diavolo, e in parte il secondo, La stirpe della notte.

Dopo un prologo ambientato nella prima metà del ‘900 in una zona rurale dell’Est Europa, in cui assistiamo alla nascita di Harlan, alla morte di sua madre e al primo tentativo di suo padre di rivendicarne il possesso, c’è un salto temporale fino al 1992. Siamo in Bosnia, nel bel mezzo della guerra dei Balcani, dove il miliziano Emil Kurjak e la sua squadra giungono nel villaggio di Yorvolak per una missione di routine. Qui, però, scoprono con sorpresa che il luogo è disabitato e tutti gli abitanti sono stati uccisi in modo misterioso, come assaliti da una belva. Durante la notte, i soldati scoprono che ad aver sterminato tutti sono stati dei vampiri che ora assaltano proprio gli uomini di Kurjak: l’unico modo per scongiurare questa minaccia è rivolgersi a un dampyr. Caso vuole che nei paraggi ci sia Harlan, un sedicente dampyr che insieme al suo assistente Yuri accetta casi di vampirismo e malocchio dai paesani creduloni. Harlan, infatti, è un ciarlatano che fa soldi sulla superstizione popolare ma non sa che in lui risiede un enorme potere che lo rende l’ideale minaccia per ogni vampiro. Sarà proprio lo scontro con i vampiri di Yorvolak che farà scoprire ad Harlan il suo eccezionale talento e l’esistenza di un’antica stirpe di vampiri, i Maestri della Notte, dei quali lo spietato Gorka controlla proprio quella zona.

I lettori dei fumetti possono tirare un sospiro di sollievo, non si è ripetuto il disastro del Dylan Dog di Kevin Munroe e stavolta abbiamo un adattamento fedele e realizzato con cognizione di causa perché gestito in prima persona proprio da chi Dampyr l’ha creato e l’ha visto evolversi negli anni. Il risultato è davvero un piccolo grande unicum della storia del cinema italiano, un blockbuster (budget stimato a 15 milioni di euro) di genere fanta-horror che adatta un fumetto, neanche tra i più noti della scuderia Bonelli. È vero che solo un anno fa abbiamo avuto il Diabolik dei Manetti Bros. e attendiamo tra qualche settimana il secondo capitolo della trilogia, ma se lì c’era una forte impronta italiana in Dampyr c’è l’esatto contrario: la voglia di prendere le distanze da un’identità nazionale adottando un approccio fortemente internazionale con un cast, un impegno produttivo e un look generale che non rimandino assolutamente al Belpaese.

Il film di Dampyr centra in pieno questo obiettivo, è un film “grosso” ma intelligente nel mostrare la sua grandezza senza voler mai andare oltre determinati limiti e la storia raccontata nei primi due numeri del fumetto si presta molto bene. C’è azione ma non si tende mai a strafare, ci sono moltissimi effetti speciali ma il contraccolpo da “americanata” è prontamente smorzato, i personaggi sono quelli necessari al racconto e con un colpo di classe non da poco le location sono dal vivo, senza ricostruzioni in studio, individuando il villaggio di Yorvolak nella periferia rurale di Bucarest e la “macelleria” di Gorka in una miniera di sale in disuso tra i monti della Transilvania.

Tutto perfetto in questo adattamento, dal racconto ai personaggi, che trovano una grande aderenza a quelli cartacei anche per un bel lavoro di casting che vede soprattutto nel Kurjak di Stuart Martin e Tesla di Frida Gustavsson due volti incredibilmente aderenti e una grandissima personalità scenica. Convince anche Wade Briggs nel ruolo di Harlan, anche se dall’aspetto un po’ troppo giovane in confronto al prototipo che era stato pensato sulle fattezze di Ralph Fiennes ai tempi di Strange Days. Nel ruolo di Gorka (a proposito, si, il nome è un chiaro rimando al vampiro di Boris Karloff nel capolavoro di Mario Bava I tre volti della paura) abbiamo David Morissey (il Governatore di The Walking Dead) dal look alla Ozzy Osbourne che fa il suo senza caricare eccessivamente nell’interpretazione un personaggio che si prestava tantissimo ad essere sopra le righe.

Dicevamo, tutto perfetto, ma questo è il punto di vista un po’ viziato di chi Dampyr lo conosce e lo ha cominciato a leggere più di vent’anni fa.

Mettendo da parte lo sguardo da fan e lasciando posto a quello critico possiamo però notare che quello di Riccardo Chemello è un film che potrebbe perdersi nell’anonimato delle analoghe produzioni di genere degli ultimi anni. Il fatto che Dampyr sia una produzione interamente italiana è un valore aggiunto enorme, in concreto non abbiamo mai avuto negli ultimi 40 anni una cosa neanche comparabile, ma se lo inseriamo nel panorama internazionale ci troviamo irrimediabilmente tra le mani un’opera che non spicca ne per originalità narrativa ne per meriti tecnico/artistici particolari.

Dampyr è un film normale, un’opera eccezionale se consideriamo il suo background ma fin troppo adagiata su una logica produttiva e immaginifica standardizzata. E, paradossalmente, il limite di un film come questo diventa proprio il suo non essersi posto troppi limiti guadagnando un taglio internazionale che non solo lo rende simile ad altre opere dello stesso genere, ma lo fa apparire un pochino vecchio in confronto a quanto fatto altrove.

Questo arrivare idealmente tardi, però non è una colpa di Dampyr e dei suoi realizzatori, che hanno davvero confezionato un’opera epocale per la nostra industria cinematografica e hanno portato a casa un risultato impeccabile se contestualizzato agli intenti. E poi si è finalmente pensato ai lettori, ai fan veri, quella nicchia spesso bistrattata da inutili stravolgimenti negli adattamenti, spesso dettati da ignoranza, marketing e algoritmi, e che invece sono il cuore pulsante di operazioni come queste.

Ci piace pensare che Dampyr sia realmente solo il primo passo verso una vera evoluzione delle IP della Bonelli, un costoso esperimento che possa aprire la strada a tanti altri prodotti di genere che rispecchino il vero spirito dei magnifici personaggi creati dalla casa editrice italiana.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • È molto aderente e rispettoso del fumetto.
  • Un buon lavoro di casting.
  • Un impegno produttivo enorme che ha dato vita a un prodotto come non si era mai visto in Italia.
  • Se non si è dentro il mondo di Dampyr questo film potrebbe apparire meno eccezionale del previsto.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Dampyr, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

One Response to Dampyr, la recensione

  1. Loris Ghirardo ha detto:

    Beh aspetto che esca anche su altre piattaforme come Netflix o Amazon Prime,sono un fans del Dampyre avevo una bella collezione dal primo numero, poi dopo 10 anni un nubifragio me l’ha distrutta ,da allora non so come sia ora Harlan! Se hanno rispettato i primi due numeri, allora non vedo l’ora di vederlo ,magari ci fanno pure una serie ,già perché Praga é una città fantastica e sarei curioso di vedere il pub e il teatro dei passi perduti di Caled

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