Emoji – Accendi le emozioni, la recensione

Il cinema segue le mode, le tendenze del momento e si fa portavoce della contemporaneità più di ogni altro medium, promuovendosi a testimone delle epoche che attraversa. La contemporaneità, intesa come secondo decennio degli anni 2000, è certamente segnata dalla presenza invasiva degli smartphone, diventati di fatto estensione della persona, dunque segno distintivo massimo di questa epoca. L’assioma va da se. Non è strano, infatti, trovare i telefoni cellulari al centro di una miriade di opere cinematografiche, spesso di genere (l’horror in primis), a cui va ad aggiungersi oggi anche il cinema d’animazione con Emoji – Accendi le emozioni, ultimo prodotto di Sony Pictures Animation ad arrivare nei cinema italiani.

Emoji, come da titolo, racconta il mondo coloratissimo e ipercinetico delle moderne emoticon, che vivono nello smartphone dell’adolescente Alex, cellular-addicted come i suoi coetanei, Addie in particolare, di cui il ragazzino è segretamente innamorato. Le emoji risiedono a messaggiopoli e qui lavorano con impegno per trasmettere le emozioni attraverso i messaggi che Alex scambia con i suoi contatti. Ogni emoji ha un ruolo predefinito specifico e Gene è un “bah”, proprio come i suoi genitori, finché, al suo primo giorno di lavoro, Gene scopre di avere una gamma espressiva molto più ricca, fino a mandare in tilt il sistema di emoticon del telefono di Alex. Per questo motivo, Smile, che gestisce il centro emoticons del telefono, bolla Gene come difettoso e ordina la sua eliminazione. A questo punto, Gene, accompagnato da Hi-5, ex emoji preferita di Alex, si precipita in una vertiginosa fuga attraverso le app dello smartphone alla ricerca di Rebel, un hacker che può permettere alle due emoji di raggiungere il cloud e fuggire dal telefono.

Come intuirete dalla trama, Emoji – Accendi le emozioni è stato confezionato a puntino per risultare accattivante proprio chi sugli smartphone ha casa e il dato interessante è che si tratta di un film d’animazione che punta più di molti altri a un pubblico giovanissimo. Ergo lo specchio dei tempi che è il cinema, come si diceva, ci conferma come i nostri figli, nipoti o fratellini vivano sugli smartphone allo stesso modo o più di chi li utilizza per comunicare e lavorare. E fa un po’ strano essere trentenni e annoiarsi con un film del genere, sentendosi come le vetuste e incidentate emoticon che popolano messaggiopoli, mentre tutto attorno c’è una platea di under 10 che ride, schiamazza, si diverte ed esulta assistendo alle avventure di Gene e le altre emoji, carpendo immediatamente il linguaggio da millennials che viene utilizzato. Da questo dato si capisce che Emoji – Accendi le emozioni è un film settoriale come pochi, indirizzato ai nativi digitali, per di più molto piccoli, che paradossalmente masticano la tecnologia di cui si parla nel film con una disinvoltura che forse non tutti si aspetterebbero.

Con questi dati oggettivi alla mano, il regista e sceneggiatore Tony Leondis, già responsabile di Lilo & Stitch 2, ha colto nel segno malgrado il successo non proprio eclatante che Emoji ha ottenuto al botteghino (un budget di 50 milioni e un incasso di poco più di 70), nonché un’unanime bocciatura da parte della critica. E quest’ultimo dato è comprensibilissimo perché Emoji – Accendi le emozioni ha un valore artistico piuttosto basso.

Al di là della costruzione semplicistica dei personaggi e della trama, sicuramente funzionale alla fruizione di un pubblico giovanissimo (ma la terminologia hi-tech ci disorienta), la prima cosa che si può notare in Emoji è l’assoluta mancanza di originalità che ci fa malignamente vedere scopiazzature piuttosto evidenti da recenti successi d’animazione. Gene e Rebel sono palesemente Emmet e Wyldstyle di The Lego Movie, sia nella caratterizzazione visiva che nella personalità, e sulla falsariga del successo di Lord e Miller è chiaramente ricalcata anche l’avventura “on the road” attraverso le app, che tanto ricorda l’andirivieni tra i mondi di mattoncini; inoltre in entrambi i film gli eroi buoni sono inseguiti dalle forze dell’ordine di un personaggio di potere che si trova ai vertici di un’azienda e promuove l’ordine e l’omologazione.

Echi neanche troppo lontani provengono anche da Inside Out, soprattutto dal modo come l’azione esterna al mondo in cui si sviluppa la storia è strettamente collegata e influenzata dall’avventura di Gene & Co. che, guarda caso, sono fondamentali per trasmettere l’espressione delle emozioni e degli stati d’animo.

Insomma, un continuo déjà-vu che non aiuta a digerire meglio l’esilissimo Emoji, tanto colorato e ritmato quanto destinato a finire nel più assoluto dimenticatoio, sia dagli spettatori di maggiore età che dal Cinema, quello con la “c” maiuscola.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • C’è tanto ritmo e una caratterizzazione visiva del mondo nello smarphone colorata e semplicistica, ma efficace.
  • Sa davvero troppo di già visto con scelte riciclate da recenti successi d’animazione.
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