Ex Machina, la recensione
Nel 1816 Mary Shelley cominciava a scrivere, quasi per gioco, quello che poi è diventato uno dei romanzi gotici più celebri di sempre, Frankenstein. A distanza di 200 anni, la storia dell’uomo che gioca ad essere Dio utilizzando la fantascienza con la credibilità della scienza continua a influenzare l’immaginario, rinnovando così una tradizione fondante per il genere. È chiaro come anche l’esordio registico dello sceneggiatore Alex Garland guardi in quella direzione ed Ex Machina, oltre che essere una bellissima parabola sul confine tra umano e inumano, è anche un’acuta e complessa variante del rapporto Creatura/ Creatore in lucida prosecuzione frankensteiniana.
Il ventiseienne Caleb vince un premio che gli consente di passare una settimana nella sede centrale della società informatica per la quale è impiegato, la Blue Book. Giunto sul posto, Caleb constata che è presente solo il presidente dell’azienda, l’eccentrico Nathan. Ma c’è di più: l’azienda sta sviluppando un progetto segreto, uno studio sull’intelligenza artificiale, per il quale è già stato sviluppato Ava, un prototipo di IA inserito in un androide dalle fattezze femminili. In tutto ciò Caleb sarà parte dell’esperimento in quanto dovrà testare la funzionalità di Ava tramite una rielaborazione del celebre test di Turing. Ma le restrizioni che Nathan dà a Caleb pongono il sospetto nel ragazzo che ci sia qualche cosa che l’uomo vuole tenergli nascosto e le stesse sessioni di conversazione con l’IA gettano Caleb nella paranoia.
L’inglese Alex Garland è noto nel panorama cinematografico come sceneggiatore sodale di Danny Boyle, con il quale ha lavorato per The Beach, 28 giorni dopo e Sunshine, ma autore anche degli script di Non lasciarmi e lo sfortunato Dredd. Con Ex Machina Garland esordisce dietro la macchina da presa rimanendo molto coerente con il suo precedente operato, ovvero raccontare situazioni straordinarie inserendole in contesti quasi ordinari e in questo gioca soprattutto la dimensione minimalista della sua fantascienza. Una fantascienza da camera, affidata al dialogo e alla costruzione delle psicologie dei personaggi piuttosto che sull’azione o sugli effetti speciali. Ex Machina ne è la summa, fantascienza realistica, quasi classica nel suo riflettere su tematiche esistenziali, che trova nell’ammonimento da paure tecno-atropologiche sia l’innesco che il fulcro.
Nella sua essenzialità, Ex Machina è un film complesso e stratificato che prende spunto da tematiche tipicamente asimoviane per espandere il suo sguardo a un discorso intimo e allo stesso tempo universale. Nel film di Garland c’è un’inevitabile riflessione su cosa sia realmente l’umanità intesa come stato di coscienza e apertura verso il prossimo: se Caleb è l’occhio dello spettatore verso le circostanze incredibili che si generano, quindi è un occhio curioso, ingenuo e inevitabilmente “umano”, la diatriba sta sulla macchina e il suo creatore, Ava e Nathan, con una evidente presa di posizione che però segue un percorso tortuoso e neanche troppo prevedibile per giungere a una tesi.
Il Dr. Nathan, interpretato da Oscar Isaac (A proposito di Davis, I due volti di gennaio) non è il Frankenstein che ci aspetteremmo, così come Ava (la bravissima Alicia Vikander di Il settimo figlio e Operazione U.N.C.L.E.) è una creatura diversa da quelle viste fino ad ora, più subdola e meno fisica nella sua macchinazione, più vittima e meno spaventoso carnefice. Il rapporto tra i due non ha confini netti e gioca con la manipolazione, ma chi regge i fili? A subirne la conseguente paranoia è il protagonista (così come lo spettatore), interpretato da un Domhnall Gleeson un continua crescita, una mente vergine e priva di informazioni, che si apprendono un po’ alla volta in maniera poco chiara e volutamente frammentaria fino a una rivelazione finale non troppo sorprendente ma malsana e per nulla rassicurante.
Ex Machina lancia anche frecciatine verso la società contemporanea, la Blue Book per la quale lavora Caleb è un’azienda leader nel settore dei motori di ricerca web e la realistica situazione in cui è inserita ci mostra l’infinito potere informativo che queste aziende hanno verso i loro inconsapevoli clienti.
Un film che probabilmente si farà ricordare negli anni ritagliandosi un posticino tra le pellicole fondamentali che trattano l’argomento “intelligenza artificiale”, un piccolo grande film che ogni vero appassionato di fantascienza dovrebbe custodire nella sua collezione personale.
Roberto Giacomelli
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