Fidanzata in affitto, la recensione

Siamo a Montauk, nello stato di New York, l’estate è alle porte e Maddie è già piena di casini fino al collo. Assolutamente inaffidabile, distratta, negligente sul posto di lavoro e totalmente immatura, Maddie sta affogando in un mare di debiti al punto tale da non avere i soldi per pagare le tasse di proprietà sulla casa che ha da poco ereditato dalla madre. Come se non bastasse, una serie di multe non pagate la conducono a farsi sequestrare l’auto che utilizza per lavorare come autista Uber. Maddie è completamente nei guai. Consultandosi con un’amica, la ragazza decide di rispondere ad un bizzarro annuncio trovato su Craiglist: una coppia di genitori super-amorevoli di Montauk cerca disperatamente una ragazza tra i venti e i venticinque anni che possa aiutare il loro figlio – il giovanissimo Percy – ad essere “svezzato” alla vita emotiva e sessuale prima di iniziare il college. La richiesta è folle e Maddie è decisamente troppo “vecchia”. Eppure, decide di presentarsi al colloquio. Si, perché la coppia di genitori ha promesso come ricompensa un’auto di lusso nuova di zecca. Maddie ottiene il lavoro e adesso il suo unico obiettivo è quello di far “crescere” il timido e introverso Percy senza che lui possa minimamente sospettare che, dietro tutto, ci sia lo zampino dei suoi genitori troppo amorevoli e protettivi.

Cinematograficamente parlando, quelle che hanno preceduto l’entrata ufficiale della stagione estiva, sono state settimane all’insegna quasi esclusivamente dei blockbuster. Abbiamo visto susseguirsi, uno dietro l’altro, La sirenetta, Fast X, Spider-Man: Across the Spider-verse, Transformers – Il risveglio e The Flash. Tutti prodotti industriali legati ad un concetto di “arte” che ormai è totalmente dipendente dal proprio brand.

FIDANZATA IN AFFITTO

È evidente che questo periodo passerà alla Storia come un momento incredibilmente arido di nuove idee, in cui la creatività è stata totalmente accantonata per correre in soccorso di tutti quei prodotti capaci di essere sostenuti da un’assicurata fanbase di partenza. Ed è incredibile notare come in poco tempo sia cambiato tutto al cinema. Fino a qualche anno fa, una delle critiche peggiori che si poteva muovere nei confronti di un film era la sua totale assenza di originalità. Oggi invece l’originalità non interessa più a nessuno, anzi, questa ha proprio smesso di essere un requisito richiesto alla Settima Arte.

In questi anni così tanto legati alle IP, ai franchise di successo, alle saghe sempre più interminabili che stanno trasformando il Cinema in un gigantesco contenitore per la serialità (occhio, non lo si dice a mo’ di polemica!), il genere che forse ne ha pagato le spese più di tutte è curiosamente la commedia. Un’affermazione che non può che suonare strana a noi italiani che, quando più e quando meno, continuiamo ad essere un popolo che ci vive con la commedia.

FIDANZATA IN AFFITTO

La commedia americana, infatti, nel giro di pochissimi anni sembra essersi praticamente estinta. Estinta dal grande schermo, per lo meno. Qualche settimana fa abbiamo salutato l’uscita in sala di Campioni, il primo film da solista di Bobby Farrelly che è passato completamente inosservato, e forse dobbiamo tornare ad ottobre dello scorso anno, quando è uscito Ticket to Paradise di Ol Parker, per trovare l’ultima vera commedia mainstream americana.

Con questo non vogliamo dire che la commedia americana sia morta, solo che ha cambiato forma e (tristemente) destinazione. Oggi la commedia americana si è evoluta/involuta in favore di una forma più indie, cambiando drasticamente il proprio pubblico: messa in scena più contenuta, temi profondi ed esistenziali e non ha nemmeno bisogno di un talent per funzionare. Questa nuova commedia americana non si preoccupa nemmeno troppo di dover divertire il proprio interlocutore, vuole solo farlo riflettere se non addirittura commuovere.

E la commedia dal taglio rigorosamente mainstream dove è finita? Semplice, sulle piattaforme! È lì, infatti, che sono state dirottate tutte le commedie che non si fanno carico di un respiro autoriale. Ormai è lì che sembra destinata a dover vivere la commedia commerciale, sul piccolo schermo, dovendo di conseguenza sottostare alle logiche imperanti (e vomitevoli) dei prodotti on demand che non contemplano minimamente l’esser cinema.

FIDANZATA IN AFFITTO

In questo scenario apocalittico debutta sul grande schermo Fidanzata in affitto, l’opera seconda di Gene Stupnitsky (il suo esordio era avvenuto con il coming-of-age del 2019 Good Boys) che vanta un passato da sceneggiatore per piccole commedie cult come Anno Uno con Jack Black e Michael Cera o Bad Teacher – Una cattiva maestra con Cameron Diaz.

Traendo spunto da un vero annuncio trovato online, quello di due genitori disposti a pagare qualcuno che potesse far crescere il proprio figlio, Stupnitsky si prende la briga di mettere in piedi una commedia decisamente vecchio stile e vogliosa di guardare nella stessa direzione in cui, qualche anno fa, guardavano registi come i fratelli Farrelly (con Tutti pazzi per Mary o Lo spaccacuori), Jake Kasdan (lo stesso Bad Teacher – Una cattiva maestra o Sex tape – Finiti in rete), Judd Apatow (40 anni vergine, Molto incinta, Un disastro di ragazza) e persino il Todd Phillips delle origini (Road Trip, Old School).

Commedie tanto irriverenti quanto divertenti, film dalla fortissima morale di fondo ma nascosti dietro una veste decisamente scorretta. Sicuramente non commedie per famiglie, prodotti intenzionati a raggiungere un target prevalentemente maschile, spesso disposti a trovare rifugio in situazioni umoristiche di grana grossa in cui è il sesso a diventare l’elemento cardine su cui ironizzare.

FIDANZATA IN AFFITTO

Fino ad una decina di anni fa se ne producevano a tonnellate di film di questo tipo, e fruttavano anche bei soldi al botteghino, poi improvvisamente è arrivato il black-out che ha travolto questa tipologia di film. Il politicamente-scorretto è finito per essere considerato sempre meno appetitoso, un certo tipo di umorismo è scomparso e la commedia ha trovato altre valvole di sfogo (diventando, appunto, più sofisticata e profonda o confluendo all’interno di altri generi cinematografici).

Tutto questo ci porta oggi a vedere Fidanzata in affitto quasi come un film vintage, un prodotto persino nostalgico nei confronti di un cinema che è esistito con prepotenza fino a qualche anno fa. Meno di dieci anni fa, infatti, questo firmato da Gene Stupnitsky sarebbe stato un film destinato a perdersi fra tanti, oggi invece si lascia accogliere a braccia aperte risultando persino coraggioso nei confronti di un Sistema che sembra non trovare più spazio a questo genere di prodotti.

Distribuito da Columbia Pictures e Sony, Fidanzata in affitto è un film che guarda con molta insistenza verso quel genere di commedia di cui si è ampiamente parlato ma, al tempo stesso, l’attualizza prendendo coscienza che i tempi sono cambiati e quel tipo di film lì appartiene al passato.

FIDANZATA IN AFFITTO

Inaspettatamente quindi, Fidanzata in affitto si rivela una commedia anche profondamente intelligente che riesce a riflette meglio di tanti altri film (apparentemente più ambiziosi) proprio sul concetto di trasformazione e di invecchiamento.

Quello di Gene Stupnitsky, in sostanza, è un film sul tempo che passa troppo velocemente, sull’età che avanza senza darci il tempo di rendercene conto e sulle mode/abitudini che mutano ad una velocità ormai inafferrabile.

Nell’epoca dei boomer e della Generazione Z, tutto è destinato a passare di moda da un momento all’altro, anche quello che per interi decenni è stato considerato ever-green (il sesso, prima d’ogni altra cosa), tutto si modifica senza che venga concesso molto tempo per elaborare il cambiamento. O sei al passo o sei vecchio.

E tutto questo discorso è reso perfettamente dal personaggio di Maddie, interpretato in modo impeccabile da Jennifer Lawrence (che produce anche il film, dimostrando davvero di voler spingere la propria carriera verso direzioni imprevedibili), una “bambolona-sexy” che sembra essere figlia di quella commedia ormai demodé ed è totalmente incapace di adattarsi alle regole del nuovo mondo. Non perché è una disadattata, ma semplicemente perché non si è mai fermata a riflettere che tutto è un po’ cambiato.

FIDANZATA IN AFFITTO

Come direbbero oggi i più giovani, appunto, Maddie è una boomer e non possono che far sorridere le molte situazioni in cui lei – che ricordiamo essere Jennifer Lawrence! – viene trattata dagli altri come una “vecchia”. E a tal proposito è illuminante la lunga sequenza in cui Maddie, per inseguire il giovane Percy (interpretato in modo altrettanto convincente da Andrew Barth Feldman), si ritrova in una festa di neo-matricole universitarie e viene derisa da tutti per la sua età, chiamata “mammina” o insultata per il suo gergo troppo esplicito e quindi molesto. Una lunga sequenza, anche decisamente divertente, che porta lo spettatore a riflettere davvero su come sia cambiato un po’ tutto nel giro di pochissimi anni. In primis proprio l’umorismo.

Ma Gene Stupnitsky non si ferma di certo qui, sarebbe troppo semplice, e quindi oltre a riflettere in modo mai banale su come sono cambiati usi e costumi della società in cui viviamo, destruttura gli stereotipi e li capovolge completamente, ponendo al centro del racconto due protagonisti che affermano e negano subito dopo ogni cliché figlio del genere. E questo è un altro assoluto punto di forza di Fidanzata in affitto, che riesce in modo molto sottile ad evidenziare come persino certe maschere sociali eterne non sono più figlie dei nostri tempi.

FIDANZATA IN AFFITTO

L’intero racconto ruota attorno a due personaggi capaci di incarnare due stereotipi assoluti: la ragazza attraente (bionda e formosa) e il timido nerd sfigato. Il racconto parte dalla consapevolezza di questi due luoghi comuni ma, con il progredire della narrazione e in modo assolutamente convincente, l’ottimo script di John Phillips e lo stesso Gene Stupnitsky porta lo spettatore a realizzare che quei luoghi comuni ormai esistono solo nella nostra testa, appartengono più ad un codice visivo che ad altro. Si, perché la carica erotica di Jennifer Lawrence viene continuamente demitizzata da ogni scelta che il film compie, così come il giovane Percy non fa nulla per apparire sfigato. Anzi, è molto più vincente di quanto i suoi genitori o la stessa Maddie possano credere. E tutto questo viene portato avanti in modo assolutamente interessante, poiché avviene in modo sottile e naturale e mai apertamente sbandierato.

Al contrario di tutte quelle commedie cult che affollavano i cinema ad inizio anni duemila e a cui questo film guarda, Fidanzata in affitto non intavola nessuna morale in modo facile bensì ci inietta la riflessione sottopelle e lascia che sia lo spettatore a farla propria lentamente. Anche giorni dopo la visione.

FIDANZATA IN AFFITTO

Quindi è tutto così perfetto in questo bizzarro film prodotto e interpretato dal premio Oscar Jennifer Lawrence? Assolutamente no. Perché la sceneggiatura, seppur intelligente e piena di situazioni vincenti, si adagia comunque su una struttura narrativa assolutamente classica che è propria praticamente di tutte le commedie americane (e non solo). Quindi una narrazione schematica, perfettamente divisa in tre atti, in cui è piuttosto prevedibile dove andrà a finire la storia e come si chiuderà l’arco narrativo di ogni personaggio. Così come lo stesso politicamente scorretto è pur sempre figlio di un film mainstream hollywoodiano, e quindi molto più corretto di quanto il film voglia farci credere nei primi minuti.

Ma va bene così, perché Fidanzata in affitto sembra essere un film interessato a vivere di dettagli, piccole intuizioni geniali ed intelligenti messe al servizio di una narrazione classica che possa arrivare a tutti e non solo ad un pubblico di nicchia.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • Jennifer Lawrence e Andrew Barth Feldman sono una coppia eccezionale.
  • Dietro una struttura classica e ad un finto umorismo di grana grossa, questo di Stupnitsky riesce ad essere un film anche di profonda riflessione sulla società che avanza senza controllo.
  • Ottima delineazione dei due protagonisti.
  • Diverte, e trattandosi di una commedia questo non può che essere un requisito fondamentale.
  • Una commedia mainstream che torna a guardare a quel modello “alla Farrelly” che ci piaceva tanto.
  • Una struttura narrativa decisamente schematica che non sottrae il film ad una certa prevedibilità di fondo.
  • Il politicamente scorretto a sostegno del politicamente corretto, come in qualsiasi film di Sistema americano.
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