The Flash, la recensione
Signore e signori vi presentiamo il film più tribolato del fu DC Extended Universe: The Flash.
Ancor prima che Warner Bros. iniziasse a sviluppare l’universo cinematografico DC c’erano progetti su un film da solista sul velocista rosso dei fumetti, progetti che risalivano addirittura alla fine degli anni ’80 / inizio ’90 con il successo del Batman di Tim Burton. Un progetto accarezzato a più riprese che, nell’ultimo ventennio, ha coinvolto nomi come David S. Goyer, Shawn Levy e George Miller prima di confluire nel citato DCEU e concretizzarsi nell’altrettanto tribolato Justice League di Zack Snyder e Joss Whedon.
Ma a far seguito al progetto corale Justice League c’era, per l’appunto, il recupero del film su Flash che Warner ha affidato, di volta in volta, a Phil Lord e Christopher Miller, Seth Grahame-Smith, Rick Famuyiwa, Robert Zemeckis, John Francis Daley e Jonathan Goldstein, tutte scelte che non hanno portato a nulla per divergenze creative con la produzione, finché è entrato in ballo Andy Muschietti reduce dal grande successo di IT che ha accettato di dirigere la sceneggiatura di Christina Hodson (responsabile di Birds of Prey), dopo una quantità inimmaginabile di script e revisioni passati per le penne di fumettisti e sceneggiatori di grande fama.
I “casini”, però, non sono finiti qui e dopo una serie di rinvii, causati anche dalla pandemia, le riprese di The Flash sono iniziate nell’aprile 2021 per un’uscita fissata nel luglio 2022. Alla fine, siamo arrivati a scrivere di questo film a giugno 2023 perché, nel frattempo, la divisione cinematografica DC ha cambiato i vertici, il DCEU come era stato pensato è morto, lo script del film è stato ulteriormente cambiato, alcune scene rigirate, il protagonista Ezra Miller è impazzito ed è stato a un passo dal licenziamento e forse è accaduto qualcos’altro che in questo momento dimentico. Fatto sta che The Flash è il classico prodotto dalla genesi altamente travagliata che, purtroppo, va anche a inficiare il risultato finale dell’opera.
Ovviamente non stiamo parlando di un brutto film, ma di un prodotto che – tra alti e bassi – si assesta sulla qualità media dei filmi DCEU post-Snyder: un’opera dalla personalità poco definita, schiavo di un’ironia forzata ed eccessiva e ingabbiato in un uso smodato, quasi terroristico, della CGI con l’aggravante che parliamo di una pessima CGI per gli standard di quello che si può vedere al cinema nel 2023.
La base narrativa di The Flash è la run a fumetti Flashpoint, un vero caposaldo del fumetto superoistico contemporaneo, pubblicata nel 2011, scritta da Geoff Johns e disegnata da Andy Kubert che poi diede il via al reboot dei fumetti DC noto come The New 52. Quindi la base di partenza per il film di Muschietti è importante, decisamente ambiziosa da trasporre e bisognosa di un inevitabile drastico adattamento per trovare coerenza con quanto già raccontato nei precedenti film DCEU collegati a The Flash.
In particolare, Christina Hodson inserisce The Flash pienamente nello snyderverse cercando una connessione diretta con L’uomo d’acciaio e Justice League in modo che quest’ultimo riprenda il Barry Allen / Flash di Ezra Miller con le caratteristiche già introdotte e il primo possa invece fungere da nuovo contesto narrativo per il viaggio nel passato alternativo del protagonista, così da sostituire alla guerra tra atlantidei e amazzoni del fumetto un altro evento catastrofico, ovvero la venuta di Zod sulla Terra come mostrata nel primo film della saga di Zack Snyder. Tutto ciò ha senso e narrativamente The Flash funziona abbastanza bene, prendendo le distanze da Flashpoint ma attingendone nei punti cardine per rendere palese l’ispirazione.
Quello che, purtroppo, davvero non funziona, così come non funzionava in Justice League (entrambe le versioni) è proprio Flash, ovvero Barry Allen, caratterizzato come un perfetto imbecille. E se in Justice League era praticamente “la spalla comica disneyana” del gruppo, qui da protagonista non può ricoprire questo ruolo e così, nella foga dei viaggi nel tempo e dei paradossi temporali, Barry è affiancato per tutto il tempo da un altro Barry più giovane e quindi più scemo, che torna ad essere la spalla comica. Quindi abbiamo una spalla comica che è anche la spalla comica di se stesso, un paradosso che avrebbe mandato ai matti anche il matematico tedesco August Ferdinand Möbius.
Ci troveremo, così, davanti a una serie continua di siparietti ironici che alla lunga finiscono per sfiancare lo spettatore, al netto di una storia che invece ha una gravitas abbastanza accentuata, con momenti tragici importanti e un innesco narrativo che è, letteralmente, il tentativo di un figlio di salvare dalla morte la propria madre ed evitare che anche la vita del padre sia rovinata per sempre.
Al contrario di Barry Allen, che ha trovato in Ezra Miller un interprete non del tutto convincente, funzionano benissimo tutti i comprimari e, chi conosce il fumetto Flashpoint, sa che a far capolino lungo la storia sono altri supereroi noti dell’universo DC. E se il Batman milleriano dell’efficacissimo Ben Affleck trova spazio brevemente per una movimentata sequenza d’azione iniziale, il Batman del passato alternativo creato dal viaggio multiversale di Barry è quello che Michael Keaton aveva interpretato nei primi due film di Tim Burton, quindi non il Thomas Wayne dei fumetti ma il Bruce Wayne del passato cinematografico. Un colpo di genio che non solo riporta in scena un invecchiato – ma sempre in formissima – Michael Keaton / Batman ma anche tutto il suo contesto burtoniano fatto di Batcaverna, Batmobile, Batwing, Batrang… tutto squisitamente 1989. E Keaton ruba la scena a tutti: da quel momento in poi l’attenzione si focalizza su Batman e capiamo, a maggior ragione, come un Flash caratterizzato alla maniera del DCEU non funziona.
Un importante cambiamento in confronto al fumetto, ma perfettamente contestualizzato, è la presenza di Supergirl / Kara Zor-El al posto di Superman, anche se la lunga sequenza della liberazione è praticamente identica a quella di Flashpoint (non fosse per l’ambientazione russa-siberiana, chiara citazione a Red Son). A dar corpo a Kara c’è Sasha Calle, decisamente diversa da come Supergirl è sempre stata raffigurata sui fumetti e al cinema ma non meno efficace, soprattutto per una caratterizzazione perfettamente in linea con la tragicità krytoniana descritta da Zack Snyder.
Oltre ai citati personaggi, che sono parte integrante della promozione del film, The Flash è pieno zeppo di cammei celebri, per lo più relegati agli ultimi minuti del film, che rivelare sarebbe altamente irrispettoso verso gli spettatori (anche se testate nazionali e internazionali hanno bellamente spoilerato senza un pizzico di professionalità) e che, inevitabilmente, creano un gran fomento lasciando quella sensazione di ludico appagamento che crea un sentimento positivo verso il film.
È chiaramente un modo da parte di Warner di replicare la formula Sony/Disney di Spider-Man: No Way Home in cui un unico film e il concetto di multiverso rendono canonici tutti i prodotti del passato legati a quello stesso immaginario, anche quelli che non sono mai veramente esistiti, e per farlo Muschietti prende perfino in prestito alcune soluzioni visive dall’evento a fumetti Crisi sulle Terre Infinite, una strizzata d’occhio allo spettatore veramente appassionato di fumetti.
Insomma, di carne al fuoco The Flash ne ha tanta e spesso è anche ben cotta, se non fosse, appunto, per l’eccesso di ironia, un protagonista sbagliato in partenza e degli effetti visivi, come si diceva in apertura, veramente pessimi. Perché quello di Muschietti è un film realizzato per una buona maggioranza proprio in CGI, spesso anche come precisa scelta estetica, il problema è che parliamo di una CGI vecchia, posticcia, che crea un vero e proprio senso di finzione. Basti guardare la sequenza iniziale del salvataggio alla nursery dell’ospedale, alle sequenze ricreate in computer grafica sul tempo che si riavvolge quando Barry utilizza la cronovelocità, alla ricostruzione dei volti di alcuni cammei, perfino al deepfake usato sulla controfigura di Ezra Miller. È tutto incredibilmente posticcio, inaccettabile per un film da 200 milioni di dollari di budget prodotto nel 2023.
Se vi aspettate un film che, come Flashpoint nei fumetti, possa reboottare l’universo DC al cinema rimarrete delusi, The Flash è molto più ancorato al passato di quanto la strategia promozionale nei mesi scorsi abbia voluto far credere e per questo c’è il dubbio che possa realmente avere un’utilità per i progetti futuri messi in cantiere. Probabilmente no, così come è ormai palese per Black Adam e Shazam! Furia degli dèi, quindi prendete questo film come ultimo (o penultimo, se consideriamo il prossimo Aquaman, su cui c’è ancora parziale mistero nel momento in cui scrivo) tentativo di dare un proseguo all’amato/odiato snyderverse, oltre che come divertito tentativo di riunire sotto uno stesso tetto tanti volti noti della DC cinematografica.
Roberto Giacomelli
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