Glory – Non c’è tempo per gli onesti, la recensione

Negli ultimi anni il cinema bulgaro ha risentito di un considerevole miglioramento della sua reputazione internazionale. In primo luogo grazie a pellicole intimiste o dai tratti autoriali, capaci di inserirlo pienamente nel solco di certo cinema europeo molto apprezzato sopratutto nei grandi festival internazionali (Cannes, Venezia, Berlino). Basti pensare ad opere come Il Mondo è Grande e la Salvezza è in agguato dietro l’angolo di Stephan Komandarev del 2008 o L’Isola di Kamen Kalev del 2011, che risulta essere proprio una produzione franco-bulgara.

Una giusta configurazione ed una netta politica autoriale emersa a partire dalla fondazione del Centro Nazionale di Cinematografia di Sofia nel 1991, a seguito della fine del regime comunista.

Se prima di allora il cinema bulgaro poteva sostanzialmente dividersi in pellicole di puro intrattenimento o di critica al regime (sopratutto negli anni ’80), ora il tracciato sembra ben definito all’insegna della tradizione del cinema d’autore europeo (strizzando l’occhio ai vicini rumeni ed alla loro idea di cinema).

Appartiene appieno a questo filone cinematografico Glory – Non c’è Tempo per gli Onesti di Kristina Grozeva e Petar Valchanov, presentato qualche mese fa in occasione del Festival di Locarno.

Il film narra la storia del ferroviere Tzanko Petrov (interpretato da Stefan Denolyubov) che una mattina trova nei pressi dei binari della ferrovia dove lavora abitualmente un’ingente quantità di denaro.

Dall’animo buono e dalla forte ingenuità (rappresentata anche dalle sue balbuzie) il ferroviere chiama subito la polizia per denunciare il ritrovamento. La cosa porterà ad una catena di effetti che nemmeno Tzanko si aspettava e che lo condurrà a pentirsi di aver denunciato l’abbandono dei soldi alla polizia.

In primo luogo, infatti, il Ministero del Trasporti e la sua cinica responsabile della comunicazione Julia Staykova (interpretata da Margita Gosheva, già storica collaboratrice dei due registi) cercherà di sfruttare a fini propagandistici il comportamento del buon ferroviere per nascondere mediaticamente uno scandalo legato alla rivendita di alcuni vagoni ferroviari. In secondo luogo, la perdita casuale di un orologio Glory di proprietà del ferroviere porterà ad una serie di eventi in cui anche la stampa cercherà di strumentalizzare Tzanko per colpire il Ministro dei Trasporti e per fare luce sui vari scandali legati alla ferrovie del paese.

Alla fine Tzanko si renderà conto di non poter contare su nessuno: sullo Stato, sui media che sostengono di voler colpire lo Stato corrotto e nemmeno sui colleghi.

Non c’è il tempo (ma si potrebbe anche dire “non è un paese…”) per onesti.

Glory – Non c’è tempo per gli onesti è il classico film che pur basandosi su un soggetto e su un impianto interessante, risente di forti carenze a livello di sceneggiatura.

La storia ha una linearità ed un collegamento tra le singole vicissitudini che si accavallano tra loro (lo scandalo dei vagoni – il ritrovamento dei soldi – la scomparsa dell’orologio di Tzanko – l’inchiesta sul furto di carburante) capace effettivamente di regalare alla pellicola un impianto stilisticamente hitchcockiano: il protagonista infatti è un uomo solo contro tutti, sommerso da eventi che non riesce a controllare ed ha la tendenza a fuggire (se non quella di assecondare questi stessi eventi). Il tutto in un ambiente formale ed istituzionale del tutto ostile.

Al tempo stesso, la vicenda del ritrovamento dei soldi o della compravendita di vagoni è tecnicamente un espediente per sviare lo spettatore dal vero centro della pellicola: la perdita dell’orologio del ferroviere. Che se non fosse avvenuta, avrebbe distrutto tutto l’impianto narrativo della storia.

Nonostante tutto, il film risente di una realizzazione non del tutto riuscita: alcuni personaggi ed alcune vicende non sono ben sviluppate. Basti pensare al tema della maternità di Julia Staykova o agli incontri notturni con le squillo da parte di Tzanko, in una Sofia sempre più caotica ed apparentemente immutabile nel suo strutturale disordine.

Ci si trova di fronte, dunque, ad una contraddizione: una buona intuizione iniziale (il soggetto) e un messaggio da critica sociale (nei confronti delle istituzioni ma anche della società che determina i nostri stessi governi ed il nostro personale politico) per certi versi efficace, ma il film non tiene pienamente il ritmo tra personaggi scarsamente caratterizzati e dialoghi (pessimo il doppiaggio in italiano) al limite del ridicolo se non del macchiettismo (basti pensare alla sequenza in cui gli impiegati del Ministero osservano con spocchia e risa la prima intervista tv al balbuziente Tzanko).

Per quanto, appunto, Glory – Non c’è tempo per gli onesti si inserisca nell’alveo del rinnovato cinema bulgaro, non saranno certo queste le opere a segnare il cambio di paese verso un ulteriore accreditamento internazionale da parte di una filmografia comunque in costante crescita.

Livio Ricciardelli

PRO CONTRO
Il soggetto e i singoli piani narrativi finalizzati a celare il vero centro della storia rappresentato dall’orologio Glory del protagonista. Il doppiaggio in italiano, svogliato e con voci inadatte ai personaggi.
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