Grace di Monaco, la recensione

Debutta nelle sale italiane il film d’apertura del Festival di Cannes, gelidamente accolto dal pubblico della kermesse, diretto da Olivier Dahan e interpretato dal Premio Oscar Nicole Kidman. Grace di Monaco è l’atteso biopic sulla meravigliosa Grace Kelly, l’affascinante star di Hollywood che rubò il cuore del Principe Ranieri e, per lui, abbandonò i set cinematografici e una promettente carriera da diva in ascesa.
Tuttavia, ad attenderla a Palazzo, non è una vita da fiaba, come, nelle nostre ideali fantasie, è quella di ogni Principessa. La pellicola, ambientata nel 1956, sei anni dopo le nozze, ci mostra una Gracie smarrita, a disagio e bisognosa d’amore. Lei e suo marito (Tim Roth) si rivolgono a stento la parola e, a corte, sembra che tutti non facciano che aspettare un suo passo falso. Inoltre, la sua personalità cristallina e frizzante mal si sposa col rigido decoro e l’ermetismo emotivo monegasco. A complicare ulteriormente le cose, c’è la precaria situazione politica, con un agguerrito Charles De Gaulle sul piede di guerra, a meno il Principato non accetti le sue condizioni in merito all’economia e all’indipendenza di Monaco.

I temi messi in campo da Olivier Dahan, lungi dall’essere ancorati a una panoramica degli eventi salienti della vita privata della Grace Kelly, si sviluppano a partire da un momento di profonda crisi esistenziale vissuto dalla diva, speculare e amplificato dalla difficile situazione sociale e dall’incombente minaccia di un conflitto con la Francia. L’interessante dimensione di un’attrice incastrata a interpretare, anche nella vita di tutti i giorni, un ruolo che le calza decisamente stretto viene tuttavia raccontata con toni fiacchi e ritmo monocorde, senza picchi narrativi degni di nota. A stemperare un impianto narrativo incline al melodramma, contribuiscono solo le sporadiche ma graffianti apparizioni di Sir Alfred Hitchcock, interpretato da un sornione Roger Ashton-Griffiths, che, con i modi eleganti e insinuanti che caratterizzarono il cineasta, mette Gracie faccia a faccia con la sua nostalgia dei riflettori, proponendole di tornare a essere la sua algida musa bionda e interpretare la protagonista di Marnie.

Grace Kelly (Nicole Kidman) sul set dell'ultimo film da lei interpretato prima del matrimonio con Ranieri.

Grace Kelly (Nicole Kidman) sul set dell’ultimo film da lei interpretato prima del matrimonio con Ranieri.

Una certa influenza hitchcockiana si nota, a onor del vero, anche in determinate scelte registiche e gestione di alcune sequenze chiave, viranti verso lo stile proprio del noir, nonché nel già citato tema della crisi d’identità (si pensi, ad esempio, al capolavoro Rebecca, la prima moglie). Il regista sottolinea la conflittuale dimensione intima ed emotiva di Grace Kelly attraverso un ricorrente e sistematico utilizzo del primo e primissimo piano. Tali inquadrature indagano senza riserve, nello sguardo spaesato e color del cielo della donna, il dramma interiore scaturito dalla coincidenza tra vita reale e recitazione e dai dubbi sui sentimenti del suo Principe: ciò che prova per lei è vero amore o semplice fascinazione per l’immagine della diva?
Al centro di Grace di Monaco, dunque, c’è prima di tutto la vicenda di una donna condannata a rinunciare a essere se stessa per conciliare e lasciar confluire le due rappresentazioni in cui il suo Io è scisso: la star del red carpet e la Principessa, entrambe magnetiche e potenzialmente molto influenti. Non a caso, come le ricorda Padre Tucker (Frank Langella), fidato consigliere dei Grimaldi, a poco varranno i suoi sforzi: gli occhi di tutti sono e saranno sempre puntati su di lei.

Per quanto riguarda le performance attoriali, Nicole Kidman appare insolitamente sottotono e sembra a sua volta mettere in scena più se stessa che la Kelly. In più di un occasione, lo spettatore potrebbe avere l’impressione di rintracciare, nelle espressioni o nella verve interpretativa, quelle delle protagoniste di Moulin Rouge! o Australia. Al di là di questo, la costruzione del personaggio risulta complessa e non priva di sfaccettature; la sua decisione, effettivamente efficace, di sfruttare il suo ascendente per risollevare le sorti del Principato cela il dramma di una perpetua condanna a camminare, tra un ciak e l’altro, su un set ancor più grande di quello hollywoodiano.
Tim Roth, dal canto suo, porta sullo schermo un Ranieri taciturno e influenzabile, talvolta caparbio e impacciato nell’esprimere i propri sentimenti, ma sinceramente legato alla propria famiglia. Interessanti anche le interpretazioni di Paz Vega, nei panni di una energica Maria Callas, e di Geraldine Somerville, in quelli di Antonietta Grimaldi, ambigua sorella di Ranieri.

Grace e Ranieri (Tim Roth) al Gala di beneficenza organizzato per risollevare le sorti politiche del Principato.

Grace e Ranieri (Tim Roth) al Gala di beneficenza organizzato per risollevare le sorti politiche del Principato.

Deliziosi punti di forza della pellicola sono la patinata ed evocativa fotografia di Eric Gautier, ulteriore rimando alle atmosfere cinematografiche cui Grace era piacevolmente avvezza ma nelle quali si ritroverà suo malgrado ingabbiata, e i meravigliosi costumi di Gigi Lepage, una vera e propria gioia per gli occhi. Grace di Monaco, complessivamente, è un biopic senza infamia e senza lode, che incanta più in virtù dell’armonia visiva che per la scrittura o le presenze attoriali. Il film, distribuito da Lucky Red, è nelle nostre sale dal 15 maggio.

Chiara Carnà

PRO CONTRO
  • La suggestiva fotografia e i meravigliosi costumi.
  • Le fugaci apparizioni di Alfred Hitchcock.
  • Qualche spunto interessante dal punto di vista narrativo.
  • È un biopic senza infamia e senza lode.
  • Performance attoriali non particolarmente degne di nota.
  • Ritmo narrativo monocorde e poco coinvolgente.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Grace di Monaco, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

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