Hannah, la recensione

Al suo secondo lavoro (il primo era Medeas, nel 2013), il regista trentino Andrea Pallaoro racconta la storia di una settantenne il cui unico legame con la propria famiglia è rappresentato dalla lontananza del marito, di recente chiamato alla galera, e che nulla può (e nulla sembra voler fare) davanti alla depressione di Hannah, donna con un forte legame esclusivo con André, ragazzino disabile nella cui casa lei lavora come domestica.

Hannah è un film delicato, intimo sin dall’inizio quando è la stessa protagonista a recitare un monologo, ascoltata dai compagni di terapia (o di teatro?) seduti in cerchio attorno a lei. Un film allo stesso tempo invasivo e soffocante, visto che le scene in esterno sono appena un paio e il tentativo di mettere lo spettatore sotto una campana di vetro non troppo ampia è esplicitato nella selezione degli interni, poco longilinei e sempre stretti anche se a venir rappresentata è una villa, percepita angusta per scelta dei colori (il grigio è preponderante), ma effettivamente un’assomma di due appartamenti e una decina di camere.

Le due dimensioni d’analisi di questo film sono dunque ristrettezza fisica e fragilità psicologica. Ed è molto interessante come Pallaoro sia riuscito a rendere da subito entrambe le dimensioni; in particolare è maestro nel mettere in chiaro le cose sin dall’inizio, quando il marito di Hannah va in carcere entro il primo quarto d’ora di pellicola. Fino a quel momento le rappresentazioni sono state rese con l’utilizzo della camera fissa. Nel momento in cui Hannah e il marito varcano la soglia della stazione di polizia, la camera si sposta e ne segue l’ingresso. Da lì iniziano i simbolismi e l’effettiva caduta della donna interpretata da una fantastica Charlotte Rampling, vincitrice come migliore attrice protagonista della Coppa Volpi, a lei assegnata in occasione della 74esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.

Rispetto alla precedente pellicola del giovane regista trentino, in Hannah vi è molta continuità con l’aspetto della nudità, mai accentuata anche quando quasi totale, perché simbolo della carica positiva naturale che ognuno di noi ha, ma cercata perché simboleggiante la vicinanza con la morte, con il ritorno a uno stato embrionale cui non si può accedere riportando indietro tempo e spazio, ma che si può trovare dopo che si ha perso ogni segno di materialità. Per questo Hannah non la vediamo mai totalmente nuda, ma coperta anche della sola pelle, avvolgente in più strati, quelli che la vecchiaia lascia in dono per affrontare il peggiore dei nemici: il tempo. È sempre il tempo che sancisce l’inizio di una o dell’altra stagione, il passaggio metaforico dall’autunno (per la prima volta comparso sopra un poster in carcere quando è il momento di incontro tra reclusi e familiari) all’inverno (la finta neve che viene rilasciata sul set di un film girato per le strade della città), l’ingrandirsi di una macchia sul soffitto che prima non era stata nemmeno notata, la morte di una balena sul fondo di una spiaggia cui fanno da testimoni dei caseggiati, venti piani per mezzo chilometro di larghezza.

Ambienti lugubri, che vengono contrastati da una colonna sonora spesso endogena. Qui la scena chiave prende forma dal ragazzo disabile che ascolta la radio mentre Hannah svolge il suo lavoro di domestica. A dare armonia in questa scena è la posizione del bambino, innaturale ma decisa, capace di esaltare la posizione a chiocciola, con la testa del bambino che va oltre il frame che viene catturato.

Da menzionare è anche il direttore della fotografia Chayse Irvin, che apre adagio a colori ed esterni in modo che venga ad assottigliarsi il confine tra la protagonista e lo spettatore: uno vive la drammaticità da dentro, l’altro la subisce da esterno, così tanto che ha bisogno della morte della balena per continuare a vivere senza venire strozzato da ambienti e pensieri chiusi, che portano a un cortocircuito della psiche.

Roberto Zagarese

PRO CONTRO
Qualità della regia. Un paio di scene di troppo.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Hannah, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

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