Il delitto Mattarella, la recensione
Il buon vecchio cinema italiano di impegno civile, rappresentato innanzitutto dalle opere di Elio Petri, Alberto Lattuada e Francesco Rosi, è stato un pezzo fondamentale della Storia cinematografica del nostro Paese; un cinema che ha sbattuto in prima pagina incredibili casi di malgoverno, non si è tirato indietro nel denunciare situazioni critiche dell’Italia di allora, a volte facendo nomi e cognomi, il più delle volte con importanti apprezzamenti critici e di pubblico. Un cinema che oggi, purtroppo, non si fa più, almeno non con la crudezza e il realismo di un tempo, romanzato e trasformato in entertainment (spesso di altissima qualità, va detto, come nei casi di Gomorra, Suburra, Il Traditore) o, ancor più spesso, diventato appannaggio di certa viziatissima e smunta fiction da prima serata di tv generalista.
Poi arriva Il delitto Mattarella, scritto e diretto da Aurelio Grimaldi da un suo stesso romanzo, che rimette un po’ in gioco il filone autoproclamandosi portabandiera di quei nobilissimi principi di cui il cinema di Rosi e Petri sono stati il simbolo. Verissimo. Peccato solo che il film, qualitativamente parlando, non riesce minimamente a rinverdire l’età doro di quel cinema risultando alla stregua di quella brutta fiction che ha cannibalizzato proprio le argomentazioni del cinema civile di un tempo.
A 40 anni dall’omicidio di Piersanti Mattarella, Presidente della Regione Sicilia e fratello maggiore dell’attuale Presidente della Repubblica, Grimaldi ripercorre a flashback il periodo immediatamente precedente il delitto partendo proprio dall’infame gesto che vide morire Mattarella il 6 gennaio del 1980 a Palermo davanti agli occhi della moglie e dei figli, massacrato a colpi di pistola nella sua auto.
Con un linguaggio rigoroso che alterna momenti più puramente fictional a un’accurata ricostruzione documentaristica dei fatti, Il delitto Mattarella risulta inutilmente verboso e fin troppo didascalico. La voce narrante è invadente, onnipresente, spezza il racconto in maniera fastidiosa fino a un epilogo affidato esclusivamente al voice-over che legge, parola per parola, le didascalie a tutto schermo per un esageratissimo minutaggio di oltre cinque minuti. Un espediente anti-cinematografico che chiude nel peggiore dei modi un film che non emoziona, non coinvolge, non trasmette empatia ma si limita a riproporre i fatti in maniera davvero molto fredda, distaccata.
Non facendosi problemi a far nomi e cognomi, Grimaldi porta avanti apprezzabilmente una tesi accusatoria ben precisa, ma viene completamente a mancare una costruzione narrativa adatta a un film. Si ha la sensazione che ci sia stata difficoltà nell’adattamento dalla pagina allo schermo, un cortocircuito che ha creato una macchinosità respingente per uno spettatore cinematografico. Il risultato, per questo motivo, sta a metà tra la docu-inchiesta e, appunto, la ricostruzione tipica di una fiction da tv generalista con attori a tratti prigionieri di un’enfasi recitativa inappropriata e tempi morti inadatti a supportare il ritmo di un film per il cinema.
Menzione particolare alle musiche curate da Marco Werba, che hanno quel sapore anni ’70 e ’80 e riescono a risollevare l’interesse destando dal torpore generale.
È un peccato che Il delitto Mattarella, a conti fatti, risulti un film non riuscito perché l’intento che ne ha mosso la realizzazione è nobilissimo e, soprattutto, va ad esplorare un episodio della nostra Storia recente che colpevolmente oggi in pochi conoscono.
Da alcune dichiarazioni del regista, pare che Il delitto Mattarella, esaurito il suo iter cinematografico, verrà mostrato alle scolaresche e, probabilmente, è proprio la destinazione pedagogica quella che più gli si adatta.
Roberto Giacomelli
PRO | CONTRO |
|
|
Lascia un commento