Il figlio del Diavolo, la recensione

La scena cinematografica contemporanea sta vivendo un’ormai ventennale fase di appiattimento di idee che ha tra le sue conseguenze la fioritura di una miriade di remake e reboot di ogni tipo, anche a distanza di pochissimi anni fra di loro, e una desolante moria di sceneggiature originali, a discapito di una propensione spiccata ad attingere a piena mani da best seller per adulti e giovani, con lo scopo di attirare un pubblico sempre più vasto e variegato. Una tendenza, accompagnata come prevedibile da risultati di pubblico e di critica altalenanti, che nel cinema horror può essere traslata in una monotonia di prodotti ormai stereotipati e filoni triti e ritriti, come nel caso di quello esorcistico la cui verve sembra ormai spenta e i cui fasti de L’esorcista di Friedklin – più che un film dell’orrore, un’autentica esperienza col demonio – sono ormai uno sbiadito ricordo.

Nel corso degli anni, infatti, la formula magica del film sulle possessioni è stata recepita a memoria dallo spettatore e per ovviare a questa criticità  vi sono due tipi di approcci che un regista può assumere: c’è chi riesce a riproporre il solito canovaccio con uno stile artigianale e perciò accattivante; chi, al contrario, cerca di dare un restyling al genere inserendovi elementi di altri filoni, come fatto ad esempio da Scott Derrickson nel suo L’esorcismo di Emily Rose.

Il figlio del diavolo

Due categorie a cui non pare appartenere il regista malese Pearry Reginald Teo che nel suo nuovo film, dal titolo Il figlio del Diavolo (The Assent in originale), propone una storia di possessione demoniaca scontata, verbosa e prolissa e alla lunga addirittura noiosa e faticosa da seguire in alcuni punti. Questo perché l’autore dimostra di non avere il talento del suo connazionale James Wan e mette in evidenza una regia svogliata e uno stile anonimo, oltre che un’idea già perdente in partenza.

Joel è un padre single il quale, dopo la morte della moglie a causa di un incidente stradale, cerca di crescere suo figlio Mason grazie a lavoretti saltuari e con l’aiuto di una fedele babysitter. Le cose, però, peggiorano quando la giovane bambinaia decide di andare via e, soprattutto, misteriose forze demoniache iniziano a manifestarsi al piccolo Mason fino a possederlo. In suo soccorso arriva Padre Lambert il quale affronterà uno spirito demoniaco molto antico, incarnazione del Male autentico.

Il figlio del diavolo

Un interminabile e stucchevole fiume di parole, così si potrebbe liquidare in pochissime battute Il figlio del Diavolo che concorre a entrare nel guinness dei primati come film horror – nello specifico a tema esorcistico – con più dialoghi e conversazioni, per giunta inutili e mal calibrati, della storia. Nelle intenzioni di Pearry Reginald Teo, infatti, c’è la voglia di distaccarsi dalle solite dinamiche da film di genere e di cercare, piuttosto, di focalizzarsi sui personaggi, i loro traumi e i rapporti fra di essi falcidiati da difficoltà materiali e psicologiche del caso. Ciò che ne viene fuori, però, è una rassegna di figure piatte, poco empatiche e mal assortite all’interno di una sceneggiatura, scritta dallo stesso regista, che non sceglie mai su quale dei protagonisti soffermarsi e, soprattutto, apre tante parentesi e sotto trame senza mai chiuderne una in maniera esaustiva, come ad esempio la figura di padre Lambert e i suoi precedenti guai giudiziari.

Il figlio del diavolo

Tutto rimane freddo, astratto e artefatto e a peggiorare la situazione contribuisce un comparto visivo decisamente mediocre e approssimativo, fatto di inquadrature rallentate in maniera pacchiana, una fotografia dai colori freddi che non crea angoscia ne ansia e una gestione della tensione al di sotto di ogni pessimistica previsione. Insomma, Il figlio del Diavolo non è in grado neanche di soddisfare il pubblico meno esigente, quello che guarda un horror solo per la ricerca di facili spaventi mentre sgranocchia i pop-corn. Sequenze di paura mal riuscite, effetti speciali goffi e demoni dalla carica orrorifica pari allo zero, senza contare una parte finale scontata e inconcludente.

Il figlio del diavolo

La summa di questi difetti non poteva che essere un film dal livello men che mediocre, dimenticabile e destinato ad entrare nel lotto dei candidati per vincere la tutt’altro che ambita palma di film peggiore dell’anno. Guardando il trailer, in conclusione, mai come in questo caso si può dire che l’apparenza inganna.

Il figlio del Diavolo è stato distribuito in streaming (noleggio e vendita) sulle maggiori piattaforme e dal 23 settembre sarà disponibile anche in home video distribuito da Eagle Pictures/Swan Entertainment.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • Il trailer che invoglia a dargli almeno una possibilità… ma è un inganno!
  • Un plot di base mal concepito e perdente già in partenza.
  • Eccessivo ricorso a lunghi e noiosi dialoghi tra protagonisti piatti e poco empatici.
  • Lo stile del regista è anonimo e la gestione della paura insufficiente a creare terrore e ansia in chi guarda.
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Valutazione: 4.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Il figlio del Diavolo, la recensione, 4.0 out of 10 based on 1 rating

2 Responses to Il figlio del Diavolo, la recensione

  1. Fede ha detto:

    Sono totalmente d’accordo con te sulla decadenza di qualità dei film horror negli ultimi anni, sempre meno idee e sempre più copiature noiose e spesso prive di senso. Sembra che ormai il pubblico si sia abituato a questi prodotti scadenti e quindi le case di produzione (comprese le tanto celebrate piattaforme come Netflix, che ci propinano ormai prodotti scadenti a raffica) fanno davvero il minimo indispensabile per raccattare quattro spettatori e a quanto pare a tutti va bene così.

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    Valutazione: 4.0/5 (su un totale di 1 voto)
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  2. Asenath ha detto:

    avete proprio ragione. Il regista doveva giocare di più sull’ambiguità. E il colmo dei colmi, la rappresentazione fisica dell’entità. Questa davvero non ci voleva!

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    Valutazione: 5.0/5 (su un totale di 1 voto)
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