Il Premio, la recensione

Terza regia cinematografica per il bravo Alessandro Gassmann che, dopo essersi scrollato di dosso la tediosa nomea di “figlio d’arte” dimostrando di essere anch’esso un meritevole artista a tutto tondo, innesca un interessantissimo discorso sulla difficoltà d’essere genitori e, ancor peggio, essere figli. Il rapporto genitore-figlio, nella fattispecie Padre e figlio, viene affrontato da Gassmann in modo maturo e personale attraverso tre opere diverse che lo stesso Gassmann decide di dirigere, oltre che interpretare. Il primo capitolo, di quella che potremmo considerare un’anomala trilogia sulla famiglia, arriva nel lontano 1982 con Di padre in figlio, film biografico diretto a quattro mani da Alessandro e suo padre Vittorio. Nel 2013 è stata la volta del dramma Razza bastarda e adesso arriva nelle sale Il Premio, commedia agrodolce che ha tanto il sapore di un inno d’amore e nostalgia nei confronti di un padre (Vittorio Gassmann) che è stato capace di trasmettere valori e virtù in modo decisamente poco convenzionale.

Giovanni Passamonte (un bravissimo ed inedito Gigi Proietti) ha vissuto la sua vita appieno senza imporsi limiti o tabù. Questo lo ha portato ad avere molte mogli e tanti figli, alcuni dei quali non sa nemmeno di avere. Ha scritto numerosi best seller di successo internazionale e adesso che è sopraggiunta la vecchiaia è diventato un uomo terribilmente cinico ed egocentrico. Alla notizia di vincita del Premio Nobel per la Letteratura, Giovanni deve organizzare un viaggio in macchina da Roma a Stoccolma per andare a ritirare il premio. In questo lungo viaggio in auto, sarà accompagnato dal fidato segretario Rinaldo (Rocco Papaleo) e due suoi figli,  il  primogenito Oreste (Gassmann) con il quale ha da sempre un rapporto conflittuale e  Lucrezia (Anna Foglietta), una blogger che spera di seguire le orme paterne. Il viaggio da Roma a Stoccolma sarà tutt’altro che semplice e, tra mille imprevisti, si trasformerà in un denso “percorso di crescita” in cui sarà possibile affrontare, una volta per tutte, vecchie dinamiche familiari che hanno sempre reso difficile il rapporto tra i Passamonte.

Alla sua terza regia Alessandro Gassmann si scontra, inevitabilmente, con il genere che nel nostro Paese fagocita tutto e tutti: la commedia. Ciononostante la volontà del regista è subito chiara, oltre che concettualmente efficace, ed è quella di mettere da parte quel tipo di commedia – tutta italiana – che si tinge di farsa dall’inizio alla fine per affrontare un tipo di commedia più matura, dai tratti internazionali e che, senza troppe difficoltà, potremmo considerare d’autore. Un’autentica commedia on the road che, nella migliore tradizione kerouacchiana, assume una costruzione a “capitoli”, ognuno dei quali corrisponde ad un momento di crescita interiore per i membri della famiglia oltre ché un piccolo passo verso una possibile ricongiunzione familiare.

Con Il Premio, a diciassette anni dalla scomparsa di suo padre Vittorio, Alessandro Gassmann realizza il film che, forse, covava in cuor suo da molti anni. Un’opera cinematografica, tanto leggera quanto amara, che sin da subito esplicita i tratti biografici della vicenda. Non ci vuole molto a capire che il letterato ed egocentrico Giovanni Passamonte altro non è che l’alter-ego di Vittorio Gassmann, entrambi uomini di cultura, tanto amati dal popolo ma prede di tutti quei “vizi” tipici di chi nella vita ha raggiunto il successo. Tante famiglie sparse per il mondo, con mogli e amanti in ogni dove, con altresì tanti figli, tra loro fratellastri poiché nati tutti da matrimoni diversi. Questo è Giovanni Passamonti ma, al tempo stesso, è il modo affettuoso con cui il regista ricorda suo padre all’interno di una cornice agrodolce più efficace negli intenti che nei risultati.

La prima cosa che si lascia notare durante la visione de Il Premio, infatti, è la fiacchezza generale che aleggia su ogni cosa. Se da una parte è subito evidente la volontà di non voler far comicità, dall’altra si respira un’atmosfera di stanca sin dai primi minuti. Una sorta di indecisione artistica sulla strada da prendere con momenti potenzialmente carichi di una verve comica che però non esplode mai. Tutto resta sopito, piatto, offrendo come risultato un ibrido che fatica a farsi accettare poiché troppo serioso per essere una commedia di disimpegno ma troppo frivolo per essere quella commedia amara che vorrebbe essere.

Anche la componente on the road, a fine visione, risulta mal gestita poiché questa non riesce a cogliere e valorizzare quello spirito “avventuroso” tipico delle opere che scelgono tale struttura. Non ci sono veri imprevisti durante il tragitto tra Roma e Stoccolma, tutto è lineare e fin troppo schematico. Le tappe che scandiscono il racconto-viaggio sono programmate, tutte troppo simili fra loro, e si traducono in semplici visite di cortesia per fare un saluto o per riposare una notte. Una colpa da imputare esclusivamente alla discutibile sceneggiatura firmata dal sopravvalutato Massimiliano Bruno, Valter Lupo e lo stesso Gassmann, uno script che non riesce ad entrare mai nel vivo della vicenda e che porta in scena personaggi stereotipati, a volte poco credibili ed altre poco approfonditi.

Risulta del tutto pretestuoso l’inserimento nel racconto della cantante Britta (Matilda De Angelis), così come si fatica a sopportare il personaggio interpretato dalla Foglietta, così tanto sopra le righe da risultare insostenibile. Messa da parte la verve comica di Proietti, che nel film interpreta inaspettatamente un ruolo “serio”, resta l’umorismo di Rocco Papaleo a rallegrare la vicenda che però, va detto, dovrebbe rinnovare e svecchiare un po’ il suo modo di far comicità poiché sta dando vita a personaggi tutti eccessivamente uguali fra loro.

Cosa resta alla fine della visione de Il Premio? Poco. L’interpretazione di Proietti, che porta in scena un uomo stanco e cinico che dalla vita può avere ormai solo noia, e la sensazione di una grande occasione mancata.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • La volontà di Gassmann nel voler realizzare una commedia internazionale, on the road, velatamente dedicata a suo padre.
  • Gigi Proietti si leva la maschera da comico per portare in scena un uomo stanco, cinico ed annoiato dalla vita.
  • Uno stile indeciso che si traduce in una commedia o troppo sciocca o troppo fiacca. Dipende dal punto di vista.
  • La sceneggiatura è debole e incapace di gestire i tempi e la struttura del road movie.
  • Personaggi brutti (Anna Foglietta) o mal gestiti (Matilda De Angelis).
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