Il principio del Rancore. Ju-On: Origins

Il 3 Luglio è sbancata su Netflix Ju-On: Origins di Sho Miyake, miniserie di appena sei episodi che cerca di rilanciare sul “versante giapponese” la mitologia di una saga horror ormai ventennale. Dopo la disastrosa nuova versione americana di qualche mese fa (The Grudge di Nicholas Pesce), sembrava che ormai la linfa vitale e mortifera dello spettro rancoroso Kayako fosse inevitabilmente esaurita.

Eppure, lo spirito creato da Takashi Shimizu non si arrende, e sembra che la sua maledizione non solo colpisca i personaggi dei vari film della saga ma anche gli spettatori cinematografici, costretti ciclicamente ad avere a che fare con questo rancore che non conosce fine.

Innanzitutto, l’origins del titolo non fa riferimento minimamente ad una narrazione prequel, ed ecco la vera prima trovata della serie: le origini sono quelle della saga cinematografica, ovvero la serie si propone di raccontare i veri omicidi e fatti di sangue che venti anni fa hanno ispirato Shimizu per la creazione di Kayako e della maledizione della casa.

Questo è evidenziato nei primissimi minuti del primo episodio, in cui la scritta in sovraimpressione ci anticipa che i fatti realmente accaduti sono molto più spaventosi di quelli raccontati nei film di Ju-On. Quindi siamo di fronte ad una narrazione di stampo metacinematografico, che cerca ovviamente di romanzare dei fatti di cronaca nera, e allo stesso tempo dà una spiegazione irrazionale ai vari eventi sanguinosi che si sono susseguiti nell’arco di venti anni.

Ci sono dei rimandi palesi alla saga cinematografica (che ricordiamo nacque come un doppio film per la Tv giapponese): la presenza della casa, la narrazione ad incastro che mischia in modo disorientate passato e presente raccontando vicende di diversi personaggi che per un motivo o per l’altro hanno avuto la vita distrutta dalla maledizione.

E, ovviamente ci sono i fantasmi, ma non quei fantasmi rantolanti e striscianti che ci hanno terrorizzato per un ventennio. Le presenze qui potrebbero essere descritte come la versione passiva di Kayako e Toshio: sono perlopiù immobili, osservano le vite degli inquilini che si distruggono, guardano e giudicano gli orrori che vengono compiuti dai personaggi umani del film.

Si, perché le scene più violente e paurose non hanno i fantasmi come protagonisti: sono gli esseri umani che in qualche modo hanno subito l’influenza della casa a compiere atrocità, sotto lo sguardo vuoto ed assente degli spettri. Ricordano quasi quelli del capolavoro Kairo – Pulse di Kiyoshi Kurosawa, dove le entità generate dall’eterna solitudine del web assistevano all’autodistruzione di vite e famiglie. Rimanendo quasi super parters.

 

La violenza ed il sesso qui sono assolutamente esplicite, con scene di stupro, un’estrazione di feto umano ai limiti del sostenibile (scena già presente nella prima versione televisiva giapponese solo come suggerimento), un pedofilo che picchia a morte una bambina: è la violenza umana la vera protagonista, una violenza che aleggia nell’aria e che impregna sempre di più le mura della casa.

Il rancore presente appartiene al mondo terreno, e il mondo soprannaturale può assistervi solo in modo passivo senza poter fare nulla.

Un modo assolutamente originale per rilanciare un franchise che sembrava veramente stantio e ripetitivo, nella speranza che il tutto non venga rovinato da una infinità di stagioni ridondanti ed inutili.

La serie è disponibile su Netflix in giapponese con sottotitoli in italiano

Stefano Tibaldi

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