Insyriated, la recensione
Insyriated è un film davvero difficile. Certo non per quanto riguarda la messa in scena, in quanto il film è ambientato unicamente nella casa-fortezza di una famiglia siriana, di cui ci viene mostrata una giornata tipo di ordinaria follia. Ma il regista belga Philippe Van Leeuw, pur trattando tale materia in maniera lineare e rigorosa, finisce per spezzare più volte la routine artefatta della famiglia, in modo da mostrarci tutto l’orrore che si nasconde oltre le tende del loro appartamento.
Quest’ultimo di fatto, nonostante gli sforzi della capofamiglia Oum Yazan (Hiam Abbass), non riesce a schermare completamente la guerra che si scatena al di fuori. Certo, all’inizio non si direbbe, perché la macchina da presa si muove flemmatica all’interno di una casa tranquilla e ordinata, ma ben presto quest’apparenza viene spazzata via dai rumori delle bombe, dalle corse per riempire il serbatoio d’acqua, dal gruppo fin troppo numeroso che abita in una sola casa. Gruppo che simboleggia la popolazione siriana in scala ridotta, dato che abbiamo rappresentanti che coprono tutte le fasce d’età, le quali vanno dal neonato figlio di Halima (Diamand Abou Abboud), vicina di casa di Oum Yazan, all’anziano suocero di quest’ultima.
Tale affresco risulta coerente con la mission di Insyriated, atta a riportare una sineddoche della guerra e dei suoi effetti nefasti sulla vita dei siriani: siamo di fronte dunque a una “parte” che però rappresenta efficacemente il “tutto” della situazione siriana, e che soprattutto vuole parlare a una globalità mondiale. Molti infatti si chiedono: “Da cosa scappano esattamente i profughi siriani?”, e Insyriated risponde a questa domanda in maniera esaustiva, disturbante, potente.
Insyriated uscirà nelle nostre sale a partire da giovedì 22 marzo distribuito da Movies Inspired.
Giulia Sinceri
| PRO | CONTRO |
| Il film di Van Leeuw mostra efficacemente la banalità del male. | È un film dai risvolti disturbanti e violenti, dunque alcuni spettatori potrebbero trovarsi a disagio. |
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