Jaula, la recensione

Come già rilevato svariate volte da psicologici e studiosi, l’universo infantile fin dalla notte dei tempi ha rappresentato una fonte di ispirazione per la narrativa horror i cui autori, di ogni epoca e stile, sono da sempre rimasti affascinati dalla complessità della mente dei bambini e le loro molteplici modalità di comunicare con il mondo circostante. Gli stessi bambini, sospesi tra l’apparente semplicità e innocenza dei loro giochi, provano a rapportarsi con il prossimo per superare quei piccoli o grandi ostacoli a cui la vita li sottopone fin da quando iniziano a muovere i primi passi. La conseguenza di ciò è rappresentata, nei casi più estremi, da atteggiamenti aggressivi e di chiusura in sé stessi, cosa che non poteva lasciare indifferente chi trae ispirazione da queste esperienze per mettere giù storie del terrore.

Figure così complesse e oscure, infatti, non potevano che ispirare storie con protagonisti bambini dai poteri paranormali, perfidi e spietati assassini o addirittura ignari prestatori di corpi per antichi demoni malvagi. Ma, a volte, tale spunto può essere sviluppato in maniera diversa al fine di realizzare horror e thriller che vanno ben oltre le solite trame viste e riviste.

È questo il caso di Jaula, film del giovane autore spagnolo Ignacio Tatay che firma il suo esordio alla regia con un thriller, distribuito dalla piattaforma Netflix, brillante e ben riuscito per merito di un’impostazione stilistica essenziale e senza fronzoli e una sceneggiatura che riesce a rendere la storia coinvolgente, ricca di colpi di scena e continui ribaltamenti. Un thriller spagnolo che oltre a confermare lo stato di ottima salute del cinema iberico di genere, si muove alla perfezione tra le pieghe di un plot in cui elementi soprannaturali, con qualche genuina e mai eccessiva punta di tensione, ed altri da intreccio investigativo si fondono per formare un mix perfetto che ha come risultato quello di dar vita ad un prodotto con una personalità tutta sua.

Di ritorno da una cena con amici, Paula e Simon trovano lungo la strada buia una bambina sotto shock e terrorizzata. Dopo averla portata in ospedale per farla visitare da medici specializzati, i due prendono in affidamento temporaneo la piccola per permetterle di stare per un periodo in un ambiente tranquillo e familiare. Tale scelta, tuttavia, non si rivelerà del tutto indovinata in quanto Paula, che più di Simon ha stretto un legame con la piccola Clara, scoprirà che il passato della bambina nasconde risvolti misteriosi e molto pericolosi.

La prima sensazione che si prova al termine della visione di Jaula è quella della sorpresa, di disorientamento e di aver assistito ad un film che si mette in gioco continuamente e ama cambiare pelle, supportato da un ritmo sempre pimpante e vivace. Ciò avviene perché Tatay – che del film è anche sceneggiatore insieme a Isabel Peña – ha il grande merito di staccarsi dai principali modelli dell’horror spagnolo contemporaneo e decide di imprimere al suo lavoro un’impronta personale, trasmettendo così l’idea di una ventata di novità e dinamismo rispetto ad altri suoi colleghi più prudenti e meno coraggiosi.

Via qualsiasi elemento da ghost story e messo da parte lo sfruttamento quasi ossessivo e monotono degli spazi interni, infatti, il giovane regista si concentra maggiormente su una trama investigativa, al cui interno si intrecciano storie di personalità complesse e dal destino molto più simile di quel che si possa pensare. Ne sono un esempio le due figure della piccola Clara e di Paula: la prima, bloccata da un trauma del passato, non riesce a superare i confini delimitati da una linea fatta col gessetto; la seconda, scossa da un problema che le impedisce di avere figli, va a rinchiudersi e impelagarsi in una situazione dalla quale sarà difficile uscire, e quindi varcare i suoi ideali confini. Due protagoniste, dunque, intrappolate e rinchiuse, volontariamente e non, in una sorta di mondo personale e minacciate da personaggi loro circostanti che non le comprendono, o addirittura minano la loro salute mentale.

Premesse, queste, che vengono dispiegate in una prima parte forse in alcuni momenti piatta e scolastica, ma che poi trovano la definitiva esplosione in una seconda metà del film nella quale Jaula si trasforma in un thriller psicologico-investigativo sorprendente, dirompente e caratterizzato da soluzioni narrative e stilistiche interessanti e di tutto rispetto. Qualità alle quali si aggiunge anche una particolare attenzione al tratteggiamento dei personaggi secondari, i quali non fungono mai da contorno ma da parte integrante del racconto.

Qualche piccola battuta a vuoto, tuttavia, è riscontrabile, oltre che nelle già citata prima parte di cui sopra, nel fatto che qualche punta di cattiveria e di sadismo sarebbe risultata adeguata in un finale comunque efficace e di impatto e che riesce a chiudere il cerchio sia della vicenda che della condizione psicologica delle due protagoniste.

Jaula, in conclusione, è un thriller che conquista e cattura lo spettatore con il passare dei minuti, trascinandolo in una storia che vive di dettagli e di particolare svelati con intelligenza e colpi di scena disseminanti nei modi e momenti opportuni. Insomma, un ottimo esordio per Ignacio Tatay.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • Il regista si impegna non allinearsi a prodotti visti e rivisti.
  • Sceneggiatura solida e personaggi ben sviluppati.
  • La seconda metà è davvero coinvolge e ricca di riuscitissimi colpi di scena.
  • Prima parte a tratti un filino scolastica e piatta.
  • Qualche punta di sadismo e cattiveria non avrebbe guastato in alcuni punti.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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