Joaquin Phoenix e P. T. Anderson a Roma per ‘Inherent Vice’!

Il 26 febbraio arriverà nelle sale italiane Inherent Vice – Vizio di Forma, ultima fatica di Paul Thomas Anderson – regista di Magnolia e The Master – con protagonista il Premio Oscar Joaquin Phoenix. I due personaggi hanno presentato il film, tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Pynchon e ambientato nella Los Angeles del 1969, nel corso di un interessante incontro con la stampa romana.
Per Phoenix, si tratta della seconda collaborazione con Anderson. L’attore – consueta aria annoiata, eppure stranamente loquace – ha raccontato la propria esperienza nei panni di Doc Sportello, investigatore contattato da una vecchia fiamma mai spenta per rintracciare e aiutare l’amante Mickey Wolfmann.

A proposito del look del suo personaggio, Phoenix ha dichiarato: “Neil Young è stato uno dei primi riferimenti cui il regista si è ispirato per creare il look di Doc Sportello, coi basettoni e i capelli lunghi. Nell’ufficio di Paul si sono poi accumulati un sacco di foto e libri sugli anni Settanta, pieni di immagini di vestiti e acconciature. Abbiamo passato così tanto materiale in rassegna che non ricordo tutti i riferimenti; poi con il costumista abbiamo fatto varie prove per capire cosa funzionava. È stato un processo organico, durato un paio di mesi”.

Sia il personaggio di The master che Doc Sportello si esprimono molto attraverso il volto e la fisicità. Che tipo di lavoro c’è stato con Anderson su questo aspetto?
“Quello di The Master è un personaggio che soffre molto e io volevo che il suo tormento interiore fosse anche fisico e diventasse palese, ma quello era un caso speciale. Per questo ruolo ho invece preso spunto anche dalle smorfie che facevano gli attori negli show del periodo, a gente come i Three Stooges. Mi sembrava che fosse l’approccio giusto per il ruolo, che a tratti sembra quasi un personaggio animato. In certi momenti, però, è anche molto pensieroso e volevo che anche questo aspetto venisse fuori”.

Ha mai pensato di passare dietro la macchina da presa, avendo già esperienza con la regia di video musicali?
“Intanto mi scuso con voi se avete avuto la sfortuna di vedere quei videoclip… e no, mai e poi mai vorrei dirigere un film. Non riesco a immaginare me stesso nei panni di regista”.

Cosa ha messo di suo nel personaggio di Doc?
“La prima ispirazione è venuta dal libro, poi dalle conversazioni con Paul. Come attore, faccio da filtro tra tutto questo e quella che vedete è la mia interpretazione del personaggio, che sarebbe stato diverso se l’avesse interpretato qualcun altro, perché ovviamente ogni attore ci porta qualcosa di sé. Ma non c’è stato uno sforzo consapevole da parte mia di aggiungere qualcosa di personale al ruolo”.

Il rapporto di amore/odio tra Doc e Bigfoot è fondamentale nella vicenda. Come ha lavorato con Josh Brolin? C’è stato spazio per improvvisare?
“Le scene con Bigfoot sono fondamentali nel libro. Non ricordo in che misura abbiamo improvvisato, anche se spesso i gesti che si fanno per ‘scaldarsi’ prima di girare poi finiscono nel film. Eravamo consapevoli dell’importanza di questo rapporto e volevamo renderlo adeguatamente e devo dire che lavorare con Josh è stato facile e divertente. Però dipende anche dai giorni, ci sono state scene più difficili e altre in cui è risultato tutto più semplice”.

Documentandosi sul periodo storico in cui il film è ambientato ha scoperto qualcosa che non conosceva?
“In genere le ricerche che faccio per un ruolo sono mirate a confermare quello che già voglio fare. Non ho mai l’impressione di apprendere da un film qualche particolare conoscenza di un certo periodo; preferisco applicare semplicemente quello che so al personaggio che devo interpretare. Non mi sento, quindi, più istruito o consapevole al riguardo. Io, poi, tendo a dimenticare tutto, e questo è un problema. Come quando studi per un esame e, dopo averlo dato, ti dimentichi tutto. Per me è così. Per ogni film che ho girato, infatti, ho delle scatole che contengono quello che mi è servito per il ruolo. Magari mi capita di aprirle quando intraprendo un nuovo progetto e, talvolta, non ricordo di aver letto quel dato libro o di aver preso degli appunti… Forse perché lavoro un po’ a compartimenti stagni”.

E per il nuovo film di Woody Allen, esiste già una scatola?
“Non posso rivelare nulla sul film di Woody, solo che ho già una scatola pronta, che contiene molti libri di filosofia”.

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Paul Thomas Anderson, affabile e disinvolto, ha regalato una bella lezione di cinema al suo piccolo auditorio, rispondendo alle domande con spontaneità e sincero interesse: “Leggendo il libro ho visto Doc come un personaggio molto romantico. Ci tenevo ad accentuare quell’aspetto, e se ci sono riuscito sono contento, perché era quello che volevo. Lui è confuso dalla lettura dei titoli dei giornali, non riesce a credere che quello che gli sta capitando sia vero. Ma non perché sia stupido o strafatto, è solo molto confuso e ha problemi ad accettare la realtà”.

Realizzare un film corale dopo due pellicole con pochi personaggi, soprattutto femminili, è un caso o scelta?
“Dopo aver fatto The Master ero attratto dall’idea di girare un film corale. E poi lì c’era solo una ragazza… Ne Il Petroliere nemmeno una… mentre in Vizio di Forma ce ne sono tantissime. Mi piaceva molto avere tutti questi bei ruoli femminili. C’è una frase di Raymond Chandler dice che l’obiettivo di una detective story è far andare in giro il tuo eroe a flirtare con una ragazza dopo l’altra”.

Quali sono le principali fonti visive e narrative cui ha attinto? Quanto c’è dell’immaginario del noir classico?
“Thomas Pynchon usa la struttura della detective story come una pretesto, per poi trasformarla in qualcosa di diverso e più personale. Visivamente, l’influenza maggiore è stata il fumetto underground di Gilbert Shelton, i Favolosi Freak Brothers, in cui questi tre hippy strafatti hanno un’unica missione: procurarsi la droga ed evitare la polizia di L.A.”

Come ha lavorato sulla sceneggiatura e da dove viene la decisione di inserire una voce narrante, affidata al personaggio di Sortilege?
“E’ successo a metà circa del processo di scrittura. Dovevo prima essere sicuro che il film potesse vivere anche senza narratore, che i personaggi funzionassero autonomamente. Ma era rimasto fuori tantissimo bel materiale e qui entra in scena questo bel personaggio. È una specie di Grillo Parlante per Doc, una ragazza che, in un certo senso, sa tutto. A rendere questa idea ottima è stata l’attrice, Joanna Newson, che è un’arpista e una cantante, una che sembra vivere contemporaneamente in epoche diverse e ha una voce bellissima e molto musicale”.

L’ultima inquadratura ricorda un po’ quella di Magnolia. È stato fatto di proposito?
“Non ci sono paragoni intenzionali con Magnolia, ma sicuramente esistono delle somiglianze. C’è questo sguardo malinconico sul volto di lei, mentre la paranoia sale ancora intorno a Doc e ho trovato che questo generasse un effetto disturbante. Ha tutto a che fare col viso di Joaquin, che riesce a essere acrobaticamente espressivo, non sai bene cosa succederà. E credo che questo sia positivo”.

A cura di Chiara Carnà

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