Jurassic World – Il Regno Distrutto, la recensione

Odiato da qualcuno, amato dai più, Jurassic World ha rilanciato in pompa magna il mito dei dinosauri al cinema dando continuazione al capolavoro di Steven Spielberg e ai suoi sequel e infrangendo diversi record fino a piazzarsi – attualmente – al quinto posto tra i maggiori incassi della storia del cinema. Ma quel blockbuster macina-botteghini faceva parte di un progetto ben più ampio che comprende una trilogia, idea preventivata dagli sceneggiatori Rick Jaffa e Amanda Silver e, ovviamente, affidata alla risposta del pubblico. Risposta che, come sappiamo, è andata oltre le più rosee aspettative garantendo il semaforo verde al progetto nella sua interezza. Ed eccoci giunti tre anni più tardi e con una consapevolezza d’intenti maturata nel più limpido dei progetti cinematografici a parlare di Jurassic World – Il regno distrutto, che porta a un livello successivo sia il viaggio iniziato con Jurassic World che l’esperienza “giurassica” nel suo complesso.

Dopo il disastro avvenuto su Isla Nublar il Jurassic World è stato chiuso e i dinosauri sono stati lasciati allo stato brado, ormai padroni dell’isola. Ma un vulcano dormiente sta mettendo in pericolo l’incolumità di quegli esseri preistorici e per questo motivo Sir Lockwood (James Cromwell), collega in affari dell’ormai defunto John Hammond e co-creatore del primo Jurassic Park, ha intenzione di prelevare da Isla Nublar alcune specie per garantire la loro continuità in un nuovo ambiente creato appositamente per loro. Viene così organizzata una spedizione guidata da Claire Dearing (Bryce Dallas Howard), responsabile delle operazioni del Jurassic World, e Owen Grady (Chris Pratt), che al dismesso parco era incaricato di addestrare i velociraptor. Ma oltre la furia del vulcano, anche una minaccia umana si affaccia all’orizzonte e mette in pericolo la sopravvivenza dei dinosauri.

Il timone del franchise passa dalle mani dell’allora sconosciuto Colin Trevorrow – che qui rimane in veste di sceneggiatore e produttore esecutivo – in quelle del più esperto regista Juan Antonio Bayona, uno che il cinema fantastico l’ha affrontato negli anni con un tocco poetico e personale. Spagnolo, classe 1975, Bayona nasce dalla “scuderia” di Guillermo Del Toro che ha prodotto il suo esordio alla regia nel 2007, il bellissimo horror The Orphanage, seguito nel 2012 dal dramma catastrofico The Impossible e nel 2016 dallo struggente dramma-fantasy Sette minuti dopo la mezzanotte. Un regista apparentemente più in sintonia con un cinema intimistico ed emotivo che difficilmente avremmo visto coinvolto in un film appartenete a un importante franchise come Jurassic World. Eppure, Bayona ce l’ha fatta e, pur rispettando in toto lo standard action -avventuroso della saga, è riuscito a piegare al suo personalissimo stile un prodotto “intoccabile”. E così Jurassic World – Il regno distrutto tocca degli apici autoriali nella saga inaugurata da Spielberg che non ci saremmo aspettati, con delle scene dall’impatto emotivo altissimo. Per questo motivo, Jurassic World – Il regno distrutto in diverse occasioni si avvicina al linguaggio della fiaba tanto caro a Bayona, ci rende partecipi di un momento crudele e struggente, forse il più triste dell’intera saga, messo in scena con una eleganza visiva e scenografica da grande cinema. Allo stesso tempo, mutuando sempre le suggestioni fiabesche di grimmiana memoria, Jurassic World – Il regno distrutto si avvicina più che in passato al genere horror con momenti di genuino terrore messi in scena proprio con il linguaggio del cinema di paura. A tal riguardo, le azioni del neo-villain Indoraptor sono degne del peggior incubo di ogni bambino, con il climax (ahinoi spoilerato dai trailer) nella stanza della piccola nipote di Lockwood strutturato proprio come la visita di una strega al lettino di una giovane preda.

È curioso notare come ormai i dinosauri una volta considerati “cattivi”, i carnivori minacciosi come il T-Rex e il Velociraptor, minacciosi non lo sono più, sdoganati da anni e anni di merchandising fino ad essere trasformati in figure famigliari ed amichevoli. Per questo motivo, le persone coinvolte nella realizzazione di Jurassic World si sono trovate nella necessità di tirare fuori dal cilindro nuovi mostri, dinosauri che potessero apparire spaventosi e pericolosi, da trasformare in nuovi cattivi. Da qui il ricorso a ibridi creati in laboratorio, l’Indominus Rex del primo Jurassic World e l’Indoraptor di questo secondo. Creature mostruose, più grandi e con più denti e artigli, capaci di eleggere a “eroi” le sempre temibili ma ormai bonarie icone del T-Rex e del Velociraptor, come Blue, il raptor addestrato da Owen Grady e mostrato come co-protagonista della vicenda.

Se Jurassic World guardava inevitabilmente alla lezione del primo film, tentando di replicarne – con le dovute differenze – la struttura, Jurassic World – Il regno distrutto guarda a Il mondo perduto – Jurassic Park, che viene ripercorso fedelmente nel suo primo atto. Non è un caso, poi, che nel film ricompaia anche Ian Malcom, personaggio interpretato da Jeff Goldblum proprio nel secondo capitolo della saga, qui in poco più che un cammeo chiamato a disquisire con il suo solito fare pop-filosofico sull’inarrestabile spinta autodistruttiva con cui l’umanità si sta avvicinando all’estinzione.

Però Jurassic World – Il regno distrutto prende poi una strada inedita, insolitamente cupa e claustrofobica, fatta di tenebre e location in interni, intenta ad esplorare anche aspetti fantascientifici fino ad ora estranei alla saga. Ed è qui che il film di Bayona acquista una personalità narrativa, oltre che visiva, che porta realmente a un livello successivo l’intera saga che, da questo momento in poi, non potrà più essere la stessa e adagiarsi su confortevoli elementi di déjà-vu.

Citando un’altra saga topica del cinema d’intrattenimento, Jurassic World – Il regno distrutto è un po’ L’impero colpisce ancora della circostanza, un capitolo di transizione (anche se conclusivo, a suo modo) capace di creare un fondamentale check-point in un franchise che ha saputo rinnovarsi pur rimanendo fedelissimo al passato.

Se avete pazienza di far scorrere tutti i (lunghi) titoli di coda, al termine c’è una brevissima scena bonus.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Questo film ha stile e il merito è di Bayona, che ha portato la sua visione fiabesca e crudele nel franchise di Jurassic Park.
  • Capace di un grande impatto emotivo.
  • Porta la saga a un livello successivo, creando grandi aspettative per il futuro.
  • La prima parte del film ripercorre in maniera un po’ insistita Il mondo perduto – Jurassic Park creando un senso di déjà-vu.
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