Jurassic World, la recensione

Per capire la grandezza di un film come Jurassic Park non occorre guardare agli Oscar vinti, a come ha influenzato tutto il cinema fantastico a seguire, al fatto che abbia contribuito alla diffusione di importanti scoperte paleontologiche. Per comprendere l’importanza del film di Spielberg basta guardare gli occhi dei bambini, di coloro che erano bambini nel 1992 ma anche di coloro che lo sono oggi. Di come si riempiono di curiosità, di partecipazione, di stupore. Di come rispecchiano tutto un susseguirsi di emozioni che vanno dal divertimento alla gioia, passando inevitabilmente per la paura.

Jurassic Park è una pietra miliare nella storia del cinema (tra i 10 film più belli di sempre, a parere di chi scrive) e la Universal Pictures ha ovviamente deciso di portare avanti storia e personaggi trasformandolo in una saga. Per il capitolo secondo si è attinto sempre all’autore del romanzo originario, il compianto Michael Crichton, e lo stesso Spielberg è tornato alla regia nel 1997 con il riuscitissimo Il Mondo Perduto – Jurassic Park. Nel 2001 si è triplicato con Jurassic Park III: a questo giro la storia è originale e il buon Steven ha passato il testimone al pupillo Joe Johnston, rimanendo solo in veste di produttore. Molto b-movie, divertente ma troppo fine a se stesso e anche al botteghino non ha fatto faville.

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Malgrado ciò la Universal ha tenuto in cantiere un quarto capitolo per anni, Jurassic World, promettendo svolte fantascientifiche che comportassero la creazione di nuovi dinosauri mai esistiti nella Storia, ma creati appositamente dall’uomo per scopi bellici. Il via libero si è avuto solo due anni fa, parte di quei “deliri” sono rimasti nella sceneggiatura di Rick Jaffa e Amanda Silver, poi sistemati dal neo-assunto Colin Trevorrow, un giovanotto di San Francisco, semi esordiente (suo l’indie fantascietifico Safety Not Guaranteed, che ha vinto una marea di premi tra cui uno al Sundance) a cui la produzione ha affidato regia e revisione della sceneggiatura. Lo scetticismo degli aspiranti spettatori è subito stato placato dalle dichiarazioni della produzione: Trevorrow è un grande fan dei tre film precedenti e conosce la materia. Sarà… solo il tempo ce lo avrebbe potuto dire.

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Il Jurassic World ha aperto al pubblico. Il sogno di John Hammond e della InGen Corporation ha finalmente trovato compimento e sono migliaia le persone che ogni giorno si riversano da tutto il mondo a Isla Nublar, 190 Km a largo dalla Costa Rica, per ammirare gli spettacoli acquatici con un gargantuesco esemplare di Mosasaurus, le incredibili abilità dei Velociraptor ammaestrati, lo spaventoso Tyrannosaurus Rex o i paciosi cuccioli di Triceratops che i bambini possono cavalcare come fossero pony. Non manca neanche la possibilità di esplorare l’ambiente dei dinosauri in cui si muovono Ankylosaurus, Gallimimus e Stegosaurus, grazie a una avveniristica girosfera nella quale ci si può muovere in sicurezza tra i giganteschi animali. Ma gli scienziati del parco hanno sviluppato anche una nuova specie che hanno battezzato Indominus Rex, un ibrido letale e intelligentissimo che dovrebbe concentrare l’interesse degli spettatori e incrementare le visite al Jurassic World. Perché, come ormai sanno bene gli esperti al marketing, più sono grossi, carnivori e pericolosi, più attirano i curiosi.

Proprio durante la visita al parco dei fratelli Zach e Gray, invitati dalla zia Claire che al Jurassic World lavora come genetista e manager delle operazioni, si scatena il panico: l’Indominus Rex si libera e porta a una reazione a catena inarrestabile. Per contenere la situazione interviene Owen Grady, ex militare e ora impiegato nel parco come addestratore di velociraptor.

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Questo è Jurassic World, la dimostrazione concreta che la Universal ha fatto bene a riporre fiducia in quello sconosciuto di Trevorrow, uno che ha trasformato in oro un potenziale pezzo di plastica.

Si vede che dietro quest’operazione c’è un ponderato mix di passione e compromesso commerciale, un film-giocattolo fatto apposta per vendere gadget (come, in fin dei conti, era anche il prototipo di Spielberg) che riesce però ad andare oltre e offrire uno spettacolo di qualità.

Posto che è inutile fare scomodi confronti con il capolavoro di Spielberg, anche se il film di Trevorrow ne vuole replicare la struttura narrativa, questo Jurassic World si difende bene e dimostra di aver trovato la giusta formula per riproporre oggi, con lo stesso sense of wonder di 23 anni fa, il mito del dinosauro. Certo, per amplificare il fascino per gli animali dell’era giurassica ora si ricorre a fantomatici ibridi che raccolgono il meglio delle più pericolose specie, e il bellissimo epilogo sembra guardare più a Godzilla che ai dinosauri di Harryhausen. Ma l’operazione è riuscita e Trevorrow ha colto nel segno.

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A una lunga introduzione che serve soprattutto a presentare la situazione, le potenziali minacce e descrivere (bene) i non pochi personaggi – proprio come accadeva in Jurassic Park – segue una seconda parte movimentatissima, con un pericolo dietro l’altro, in cui non è solo l’onnipresente Indominus Rex la minaccia, ma ci sono anche i volanti Pteranodon e Dimorphodon, protagonisti di una delle più spettacolari scene, e i velociraptor. Questi ultimi sono al centro di una delle più belle intuizioni del film: il loro utilizzo nella caccia in previsione di un impiego addirittura in campo bellico. Le scene con i velociraptor sono forse le migliori e la centralità del personaggio interpretato da Chris Pratt, addestratore di raptor, la dice lunga sulla funzione che questi rettili hanno all’interno del film.

Non manca la classica tematica etica dell’uomo che si sostituisce a Dio, qui estremizzata dall’azione scellerata dei genetisti che non si limitano a ricreare i dinosauri ma a progettarne di nuovi, a cui va ad aggiungersi l’ottusità dell’essere umano pronto a lucrare sulla vita dei suoi simili (il personaggio interpretato da Vincent D’Onofrio ne è l’esempio più drastico) e l’importanza di assurde scelte di marketing nella gestione del parco, che equivale a quanto detto poco sopra: mettere in pericolo vite per fare soldi. Non manca, come da tradizione spielberghiana, la centralità della famiglia, che qui si traduce in un inedito rapporto tra zie e nipoti e la curiosa demonizzazione (con garbo) dello strapotere delle multinazionali che provengono dall’oriente. Infatti la InGen del fu John Hammond ha qui venduto alla Masrani Global, proprietà del miliardario indiano Simon Masrani (interpretato da Irrfan Khan di Vita di Pi), che ha adottato il motto di Hammnon “qui non si bada a spese” e si diletta come (pessimo) pilota di elicotteri. Un personaggio a cui non si può non voler bene.

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Sicuramente non avrà la stessa presa sul pubblico che nel 1992 ebbe Jurassic Park, ma Jurassic World può comunque considerarsi un’operazione riuscita grazie a una formula applicata con intelligenza e cognizione di causa.

E gli occhi di quei bambini, forse oggi un po’ cresciuti, possono di nuovo riempirsi di stupore ed emozione quando lo storico tema musicale di John Williams, qui riadattato da Michael Giacchino, svela panorami popolati da dinosauri.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Storia aggiornata con intelligenza e coerenza.
  • Personaggi ben caratterizzati.
  • Scene con i dinosauri ricche di pathos e spettacolarità
  • Gli manca il senso della novità che aveva il capostipite.
  • Malgrado siano passati 23 anni, gli effetti speciali di Jurassic Park rimangono migliori in confronto a quelli di questo sequel.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Jurassic World, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

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