La Buca, la recensione

Oscar è un avvocato fallito e senza scrupoli. È un misantropo, un misogino che trascorre le sue giornate rintanato nel suo appartamento-ufficio ad architettare truffe di ogni tipo. Armando è un poveraccio. Ex detenuto appena uscito di prigione, dopo aver scontato ingiustamente una pena di 27 anni per omicidio, non ha nessuno da cui andare. La Vita, però, che qui assume le sembianze di un simpatico cane randagio, sta per farli incontrare casualmente e quando Oscar verrà a conoscenza della triste storia di Armando, l’occasione è subito ghiotta: sfruttare l’ex galeotto per intentare una causa milionaria ai danni dello Stato.

Torna dietro la macchina da presa, con postazione unica, il regista palermitano Daniele Ciprì attivo nel settore dall’inizio degli anni Novanta, snodando la sua carriera, sin da subito, su un doppio fronte: regista e direttore della fotografia. Tutte le prime opere lo hanno visto in qualità di co-regista al fianco di Franco Maresco, con il quale si impegna nel realizzare opere più o meno di successo, spesso dai toni surreali e grotteschi, attente nel mostrare una deriva antropologica insita nella società postmoderna. Nel 2012, interrompe il sodalizio con Maresco e realizza il suo primo lungometraggio da solista, È stato il figlio, un’insolita commedia grottesca ed esasperatamente cinica, interamente calata in quella terra tanto cara al regista: la Sicilia.

Con La Buca, Daniele Ciprì si rimette in gioco con un secondo lungometraggio a firma singola e lo fa con una commedia dal respiro più ampio, che va a discostarsi da quel mondo siculo che ha spesso e volentieri caratterizzato la sua filmografia. Il marchio di fabbrica “Ciprì” resta comunque evidente, dal momento che l’intera pellicola è pervasa da toni surreali e popolata da personaggi grotteschi che non disdegnano un atteggiamento a volte cinico e, a volte, ignavo. L’attuale panorama cinematografico italiano, a quanto pare, continua a stare un po’ stretto al regista palermitano che, ancora una volta, ci restituisce una commedia insolita, lontana da qualunque modello commerciale odierno. La vicenda viene calata in una città immaginaria, interamente ricreata negli studios di Cinecittà, e fuori da qualunque tempo. Il risultato è un’atmosfera estraniante, che un po’ ci ricorda la New York degli anni Trenta.

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Ciprì porta in scena, dunque, una commedia dal retrogusto teatrale che altro non è che la storia di un’amicizia tra due uomini, due reietti, molto differenti tra loro per carisma e bontà d’animo. Il primo è Oscar, interpretato da un istrionico Sergio Castellitto che del film è sicuramente l’anima: uno spregevole avvocato che incarna buona parte di tutti i difetti che potrebbe avere un uomo. Il secondo, Armando, ha il volto di Rocco Papaleoed è un perfetto inetto, un uomo stanco della vita a tal punto da accettare tutto pur di godersi la libertà dopo anni e anni di carcere scontato ingiustamente. A mediare tra questi due uomini, un po’ amici e un po’ rivali, non poteva mancare una donna, che questa volta ha il volto inespressivo di Valeria Bruni Tedeschi.

Pur rievocando, soprattutto nella messa in scena, la commedia classica americana di Capra o Wilder, La Buca si presenta come una riproposta effettiva di quel modo di far commedia in Italia tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta. Una commedia leggera, capace di far sorridere e non ridere, che, attraverso situazione improbabili e sopra le righe, rifletteva sui vizi e le virtù di molteplici tipologie di italiani dell’epoca. Il cinema di Vittorio De Sica, di Risi e Monicelli. È sicuramente questo che anima ed ispira il nuovo lavoro di Daniele Ciprì, che di quella tipologia di film riesce, in linea di massima,ma cogliere l’essenza. Sergio Castellitto, vero motore della narrazione, che prevale di continuo su un Papaleo apparentemente svogliato e poco convinto, porta in scena un personaggio così carismatico e gigionesco che non tarda a portare alla memoria dello spettatore quell’Alberto Sordi de Il Boom e L’arte di arrangiarsi o il Vittorio Gassman de Il Successo. Peccato che le carte vincenti del film si esauriscano qui e che questo sentito omaggio alla commedia del passato, italiana ed estera, non riesca a brillare come di dovere, a causa di uno script prevedibile e poco frizzante nella narrazione.

Valeria B Tedeschi e Rocco Papaleo durante una scena del film "La Buca", regia di Daniele Ciprì Roma-Svizzera 2013-2014

È vero, il film non si prefigge certo lo scopo di portare chi guarda alla risata, ma, dopo i primi venti minuti di presentazione della vicenda, che lasciano ben sperare, il film inizia un vertiginoso rallentamento fino a diventare pesante e addirittura noioso. Non si ride, non si sorride e non si rimane stupiti. Però si sbadiglia… e anche tanto.

Qualche piccolo appunto, infine, è doveroso riservarlo anche alla fotografia, dal momento che viene curata dallo stesso Ciprì, che “trascina” tutti i colori verso una saturazione così eccessiva (a tratti si ha l’impressione di vedere un film in bianco e nero) per completare, sul piano visivo, il nostalgico richiamo ad un cinema del passato o ad una moderna favola dark. Non male la ricercatezza ma, forse, un pizzico di colore in più unito e una diminuzione dell’effetto patinato avrebbe giovato al risultato finale. Non c’è nulla di peggio di un film noioso e dai colori “morti”.

Giuliano Giacomelli

Pro Contro
  • Interessante richiamo al cinema del passato in un gioco che va dalla commedia americana di Wilder (nella messa in scena) a quella italiana di De Sica e Risi.
  • Sergio Castellitto, in totale stato di grazia richiama, fa rivivere le grandi interpretazioni del passato di Sordi o Gassman.
  • Una sceneggiatura prevedibile e poco divertente che ha come unico risultato quello di annoiare.
  • Rocco Papaleo svogliato e sottotono.
  • Una fotografia che, nel voler essere ricercata, risulta troppo carica e artificiosa.
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