La mia ombra è tua, la recensione

Emiliano De Vito è un venticinquenne che si è appena laureato con il massimo dei voti in lettere antiche. È un ragazzo non particolarmente attraente, timido e impacciato con le donne ma incredibilmente volenteroso e smanioso di far carriera. Afflitto dal pensiero che in un Paese come l’Italia la sua laurea sia decisamente inutile, Emiliano accetta di buon gusto un incarico molto delicato: al ragazzo viene chiesto di fare da assistente/controllore a Vittorio Vezzosi, uno scrittore sessantenne che si è ritirato in una vita da eremita dopo aver pubblicato I lupi dentro, il suo primo e unico romanzo divenuto anni prima un successo editoriale planetario. Dopo un silenzio durato decenni, Vezzosi ha annunciato la volontà di voler dare un seguito al suo capolavoro letterario. Lo scrittore accetta così l’invito alla “Fiera-Mercato degli anni ottanta e novanta” di Milano proprio per parlare del suo attesissimo sequel. Il ritorno sulle scene di Vezzosi, atteso per tutto questo tempo, non può far altro che smuovere l’euforia di orde impazzite di fans e influencer del web affamati di contenuti. Dopo aver conosciuto il burbero scrittore nella sua villa immersa nella campagna, Emiliano si ritrova in breve tempo “intrappolato” con Vezzosi in una jeep rosso fuoco degli anni ’70, un veicolo senza sportelli, senza tettino e senza parabrezza. Un viaggio on the road tra le strade d’Italia che ha come ultima mèta Milano e che cambierà entrambi in modo irreversibile.

Tratto dall’omonimo romanzo pubblicato nel 2019 e scritto da Edoardo Nesi (che co-firma anche soggetto e sceneggiatura del film), La mia ombra è tua segna il ritorno di Eugenio Cappuccio alla regia di un lungometraggio. Dopo più di dieci anni investiti nella realizzazione di documentari e prodotti televisivi, Cappuccio torna al cinema con una storia il cui focus principale è la nostalgia verso un passato che non esiste più ma anche un triste rammarico nei confronti di scelte effettuate che non hanno condotto verso la felicità sperata.

la mia ombra è tua

Tutti temi che sembrano essere particolarmente cari al regista dal momento che torna ad esplorarli dopo averli già affrontati con successo nel 2011 – anno della sua ultima regia cinematografica prima di questa – con il sorprendente e sottovalutato Se sei così ti dico si. Per quanti non lo ricordassero, nel suo precedente film, Cappuccio ci aveva raccontato la storia di Piero Cicala (un grandioso Emilio Solfrizzi), una stella della musica leggera italiana che è riuscito ad abbracciare il successo negli anni ’80 con una sola canzone. Un fuoco di paglia durato meno del previsto a causa delle sue canzoni successive, non all’altezza della precedente poiché figlie di un desiderio autoriale che nessuno aveva richiesto. Dopo aver abbandonato il mondo della musica ed essersi ritirato nel suo paesino d’origine in Puglia, a Cicala viene chiesto di tornare sulle scene in un programma tv dedicato alle meteore dello spettacolo. Per lui è l’occasione di redimersi.

Come si può intuire dal plot di Se sei così ti dico si, i punti di contatto con La mia ombra è tua sono tantissimi ed è perciò evidente il desiderio del regista di voler portare avanti un discorso relativo alle scelte di vita compiute nel passato, quelle scelte che in qualche modo si sono rivelate infelici, tutte scaturite a seguito di una grande fama che (quasi) mai è sinonimo di serenità e realizzazione personale.

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Un discorso decisamente interessante, indubbiamente profondo, declinato prima al mondo della musica leggera e poi a quello dell’editoria. Cambia il “mezzo” ma la sostanza rimane invariata, secondo Eugenio Cappuccio il successo è solo una macchina tritacarne vacua che non può condurre a nulla di veramente buono. Non c’è salvezza sulla strada che conduce alla gloria: o si finisce stritolati dopo averla abbracciata o è bene distaccarsi al momento giusto, rintanandosi in una “bolla esistenziale” e continuando a vivere il resto dei giorni all’ombra di ciò che si è creato e non di ciò che si è.

Con La mia ombra è tua Eugenio Cappuccio trascina lo spettatore all’interno di un road movie abbastanza classico, un racconto quasi tutto su strada che collega metaforicamente un passato in cui tutto era ancora possibile ad un futuro in cui le occasioni per essere felici sono ormai limitate e quindi è bene non sprecarle. Un viaggio verso la felicità affrontato da due persone diametralmente opposte sotto tutti i punti di vista, a partire quello generazionale. Emiliano è infatti un venticinquenne che vive frustrato nei confronti di un Paese che non dà possibilità ai giovani, un Paese ormai arido di risorse per colpa dei vecchi, rappresentati proprio dallo scrittore Vittorio Vezzosi, persone che hanno egoisticamente “sprecato il futuro” senza preoccuparsi minimamente delle generazioni che sarebbero seguite a loro.

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Un confronto generazionale, dunque, che viene reso ancora più acceso dal carattere dei due protagonisti: Emiliano è timido e a tratti goffo, imbranato con le donne e non a suo agio con la propria fisicità, mentre Vittorio è un bohemien sciatto ma affascinante, talmente in fuga dalla notorietà da risultare perciò ancora più desiderabile. Un giovane e un vecchio, dunque, un perdente contrapposto ad un vincente. Eppure, durante il viaggio, nel pieno rispetto delle regole dei road movie, le differenze fra Emiliano e Vittorio verranno sempre meno fino a raggiungere quel punto di contatto in cui l’uno diviene indispensabile per l’altro all’insegna di una redenzione reciproca nei confronti della vita.

C’è sicuramente del contenuto all’interno de La mia ombra è tua, è innegabile, ed è proprio per questo che dispiace notevolmente riconoscere che la nuova opera di Eugenio Cappuccio, prodotta da Domenico Procacci per Fandango, è un disastro clamoroso su tutta la linea.

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Ammantato da un’estetica poveristica che sembra guardare più nella direzione di un film indipendente realizzato con scarsità di mezzi piuttosto che in quella del cinema mainstream, La mia ombra è tua non fa altro che inciampare di continuo in scelte infelici a causa di una scrittura svogliata e indecisa sui toni da perseguire. Si rimane confusi durante la visione del film perché quello che Fandango ci propone è un racconto che non funziona come dramma esistenziale ma nemmeno come commedia per famiglie.

Non ci si diverte mai durante le quasi due ore di durata, perché l’intento sembra non essere né quello di far ridere e nemmeno quello di far sorridere. Anzi, il mood agrodolce del film viene giustamente riflesso da un ritmo che si prende tutti i suoi tempi per dire ciò che deve dire. Però, al tempo stesso, La mia ombra è tua non convince neanche come dramma a causa di una pessima delineazione dei personaggi, sia protagonisti che secondari. Tutto è in balia della macchietta nel film di Cappuccio. Ogni cosa diventa preda di stereotipi vecchi come il cinema. Tutto peggiora in quei pochi momenti in cui si cerca di rincorrere la risata. È proprio lì che il film tocca i punti più bassi, raggiungendo momenti di serio disagio in cui lo spettacolo diventa cringe anziché divertente (come la scena in cui Emiliano fa raggiungere l’erezione a Vittorio raccontando e mimando come ha fantasticato sulla donna di cui Vittorio è innamorato).

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Ma è proprio l’intero assetto di scrittura che non convince. Tutti gli elementi, infatti, appaiono stranamente slegati fra loro tanto che a mancare sembra essere proprio una visione d’insieme. Eugenio Cappuccio firma un’opera che sfugge alla messa a fuoco, un film al cui interno ci sono tante situazioni e tanti personaggi che mal si amalgamano fra di loro.

Non convince il mito dello scrittore di successo che viene creato attorno a Vittorio Vezzosi, così come è superficiale il rapporto tra lo scrittore e il suo aiutante di fiducia africano. Per non parlare, poi, del maldestro e posticcio legame tra lo stesso Vezzosi ed una figlia che mal si inserisce all’interno della storia o della risibile nota metacinemtografica che non risparmia pistolotti gratuiti e improbabili sul cinema di Nolan. Del tutto slegato dal contesto risulta essere anche il discorso relativo a quanto i social e gli influencer possano compromettere oggi le scelte degli artisti e quindi il loro destino. Ulteriore nota di demerito da imputare alla qualità della scrittura è il modo banale e semplicistico con cui La mia ombra è tua racconta i personaggi femminili, confinati tristemente a bordo ring e in una dimensione squisitamente bidimensionale, sia nel caso della love story di Vezzosi che in quella di Emiliano.

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Ogni cosa sembra esser condotta con una discreta dosa di svogliatezza. Svogliatezza che si riflette inevitabilmente anche sul cast che vede coinvolti nel ruolo di protagonisti Marco Giallini e Giuseppe Maggio. Il primo, che non ha bisogno di presentazioni, continua pigramente ad interpretare sé stesso mentre il secondo, che già avevamo conosciuto nel primo capitolo della trilogia iniziata con Sul più bello, appare poco in simbiosi con il suo personaggio e spesso sembra trasmettere una sensazione di disagio sulla scena. Nel ruolo della “fidanzata da riconquistare”, invece, troviamo Isabella Ferrari che sa farsi protagonista di alcune tra le peggiori sequenze del film.

Insomma, La mia ombra è tua è un film che non funziona da qualunque prospettiva lo si guardi. Un film concettualmente vecchio, sostanzialmente senza pubblico, nonché un’occasione mancata di portare sul grande schermo una dramedy esistenzialista che avrebbe potuto giocare in modo interessante con il tema della nostalgia.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • Eugenio Cappuccio riprende molti temi che avevano caratterizzato il suo precedente film, Se sei così ti dico sì, e porta avanti un discorso (potenzialmente) interessante sulla nostalgia, sul successo e sulle scelte di vita mancate.
  • Un film senza pubblico.
  • Confezione poveristica.
  • Scrittura disarmante e carica di momenti imbarazzanti.
  • Cast poco ispirato.
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Valutazione: 4.0/10 (su un totale di 1 voto)
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