La pelle dell’orso, la recensione

Anni Cinquanta. In un piccolo villaggio situato nel cuore delle Dolomiti vive Domenico, un ragazzino sveglio ma eccessivamente introverso che, a causa della misteriosa morte della madre, ha perso il dialogo con l’anziano padre, Pietro. Quest’ultimo, invece, è un uomo così logorato dalla solitudine e dall’alcool che nel villaggio ha saputo conquistarsi la diffidenza di tutti. Una notte come tante, la comunità è sconvolta dall’aggressione del diaol, il diavolo, un ferocissimo orso bruno che da tempo terrorizza quelle zone. Nel villaggio cala subito il gelo e nel panico del momento Pietro individua l’occasione che cercava da tempo per riscattarsi agli occhi di tutti: ucciderà quella bestia in cambio di denaro. La mattina seguente, come d’annuncio fatto, Pietro parte in solitaria alla volta del bosco con fucile in spalla e poche cartucce nella sacca. Domenico, alla ricerca di un buon pretesto per recuperare l’aspro rapporto con il padre, decide di seguirlo. Per i due, il viaggio sarà molto di più di una “semplice” caccia.

C’è stato un tempo in cui in Italia, tra le tante cose, si producevano anche pellicole d’avventura. Sicuramente un genere che non è mai esploso come avrebbe meritato e che troppe volte si vedeva contaminato, e di conseguenza sminuito, ad altri generi quali l’horror o l’action post-atomico. Eppure gli italiani, che il cinema lo sapevano fare per davvero, qualche bel titolo d’avventura pura l’hanno prodotto e tra questi vanno indubbiamente ricordati Zanna Bianca e Il ritorno di Zanna Bianca, entrambi diretti da Lucio Fulci tra il ’73 e il 74, e il più recente Jonathan degli orsi firmato da Enzo Castellari ad inizio anni novanta. Poi c’è stato l’oblio. Il cinema di genere è entrato in crisi e i film d’avventura sono stati dimenticati del tutto.

La pelle dell'orso 1

Come un fulmine a ciel sereno esce adesso nelle sale La pelle dell’orso, un piccolissimo film di produzione padovana che è riuscito splendidamente a far rivivere il genere nella sua forma più classica e più pura. Nessuna contaminazione, un vero e proprio film d’avventura come non se ne producevano in Italia da almeno vent’anni.

Tratto dalle pagine dell’omonimo romanzo scritto da Matteo Righetto e portato in scena sobriamente dal documentarista Marco Segato, che con questo film esordisce nel lungometraggio, La pelle dell’orso è un film minimalista che si adagia su una narrazione semplice ed essenziale ma che riesce a farsi bastare pochissimi elementi per trasportare lo spettatore, coinvolgendolo, all’interno di una storia appassionante e adatta a tutti.

La pelle dell'orso 2

Segato dimostra di conoscere bene i meccanismi di un certo cinema, così da partorire un film indubbiamente di genere ma capace anche di trasudare una certa autorialità utile a conferire al film uno spessore ed una bontà fuori dall’ordinario. L’opera contiene in se tutti i tòpoi previsti e imposti dal genere ed ecco, dunque, che la caccia alla bestia diventa l’innesco utile per raccontare una grande storia di formazione e trasformazione, quella del giovane Domenico che si prepara a perdere quell’innocenza tipica dell’infanzia per entrare consapevolmente nell’età adulta. Per fare ciò, però, Domenico dovrà superare delle prove e combattere alcune sue paure che fino ad ora aveva preferito evitare. Tutto questo non si esaurisce alla sola minaccia dell’orso ma anche, e soprattutto, al ripristino del difficile rapporto con un padre che non è mai stato realmente presente. Tra percorsi insidiosi di montagna e pericoli inaspettati offerti dalla natura selvaggia, non mancherà all’interno del racconto l’incontro con il “saggio”, utile a stimolare la coscienza del nostro eroe e a fornirgli gli elementi giusti per riuscire nella sua missione.

La pelle dell'orso 3

Portando con se il folklore delle sue terre, unito alle usanze ed un dialetto che circoscrivono l’azione in un luogo geografico ben preciso, Marco Segato utilizza un linguaggio molto personale e sicuramente affascinante utile a fare de La pelle dell’orso un curioso mix tra Lo Squalo di Steven Spielberg (rievocato in più di una situazione) e tutta la tradizione del cinema western che rivive nel film grazie alle ambientazioni, le motivazioni dei personaggi, i lunghi silenzi e soprattutto le meravigliose facce degli attori, tra i quali troviamo un bravissimo Marco Paolini nel ruolo del burbero Pietro, la sempre brava Lucia Mascino in un ruolo secondario ma non per questo meno importante ed un convincente Leonardo Mason nei panni del giovane Domenico.

Venendo all’aspetto più strettamente avventuroso, risultano notevoli le sequenze che vedono i nostri protagonisti coinvolti nella pericolosissima caccia all’orso. Tali sequenze, pur se non abbondanti, riescono sempre a convincere e a regalare un giusto fascino vintage (come richiesto dal genere) grazie all’utilizzo di un vero orso ammaestrato che interagisce sulla scena senza alcun artificio o l’ausilio degli effetti speciali. Tutte cose che oggi, il cinema, offre con sempre meno frequenza.

La pelle dell'orso 4

Insomma, non sarà certo il film capace di rilanciare ufficialmente un genere che nel nostro Paese è stato tristemente dimenticato ma La pelle dell’orso è sicuramente un bel film, capace di restituire allo spettatore sensazioni ed emozioni che da troppo tempo mancavano alle nostre produzioni. Siamo curiosi di vedere in che direzione muoverà il passo Marco Segato per la sua opera seconda.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • Un vero film d’avventura tutto italiano come non se ne vedevano da tantissimo tempo.
  • Narrazione essenziale con pochi elementi utilizzati al meglio.
  • Marco Segato, anche se al suo esordio, si muove con passi ben decisi.
  • Gli attori sono tutti in parte.
  • Le scene con l’orso sono realizzate molto bene.
  • Il ritmo rallenta un po’ troppo nella parte centrale del film.
  • Anche se per motivi comprensibilissimi, l’orso sta troppo poco in scena.
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