La Spia – A Most Wanted Man, la recensione

La spia – A Most Wanted Man è stato presentato durante l’ultimo giorno di proiezioni al Festival Internazionale del film di Roma, nella sezione Gala. Figlio di un certo cinema che predilige la struttura narrativa all’azione vera e propria, l’ultimo lavoro di Anton Corbijn si è da subito fatto notare per la grande produzione alle spalle e per il cast da capogiro che vi ha preso parte. Ma ciò che conta e, allo stesso tempo, rammarica di più, è che questo sia l’ultimo lavoro completato dal premio Oscar Philip Seymour Hoffman, prematuramente scomparso lo scorso febbraio. E, in un certo qual modo, sconcerta constatare che, per uno strano scherzo del destino, quest’opera ruoti prevalentemente attorno al suo personaggio, come a voler regalare agli spettatori un’ultima solenne performance da protagonista assoluto. La sceneggiatura non originale è un adattamento dell’omonimo libro di John Le Carré, maestro letterario delle storie di spionaggio, di cui ricorderemo un’altra trasposizione cinematografica molto nota, ossia La talpa (2011). Chi conosce Le Carré e il suo modo di scrivere, intuirà facilmente la difficoltà nell’intessere una diegesi fitta di piccoli tasselli, posizionati strategicamente e mai casuali, atti a costruire un gioco narrativo ad incastro a prova di intelligence.

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La nostra storia si svolge in una grigia e plumbea Amburgo. Un piccolo gruppo di agenti segreti capeggiati dall’efficiente e burbero Günther Bachmannn (Philip Seymour Hoffman) setaccia giornalmente le strade cittadine alla ricerca di ipotetici terroristi alleati di Al-Qaeda. L’occasione propizia si presenta quando un immigrato ceceno e islamico, Yssa Karpov (Grigoriy Dobrygin), giunge in città senza documenti e in condizioni precarie, con l’unico scopo di rintracciare il signor Tommy Brue (William Defoe), un banchiere dal passato losco. Aiutato da una giovane avvocatessa dalla parte dei diritti della comunità islamica del luogo (Rachel McAdams), Günther e i suoi intuiranno che questa faccenda potrebbe rivelarsi solo l’inizio di una caccia ai “pesci più grossi”, senza esclusione di colpi bassi e inganni nascosti dietro l’angolo.

Anton Corbijn, il regista rock che ha collaborato con U2 e Depeche Mode, nonché autore del notevole Control sui Joy Division, si cimenta in una spy story dal retrogusto amaro, cesellando un percorso introspettivo che tende all’implosione della sua stessa storia e dei suoi personaggi. Ridimensionando il ruolo della spia a un più comune vigilante che batte le strade notturne e lugubri di una città invasa di losche presenze che si muovono nell’ombra, paradossalmente il film trova proprio qui la sua dimensione e convince grazie alla presenza di un attore quale era Hoffman.

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Il suo Bachmann risplende di una luce fioca, frutto delle innumerevoli sconfitte subite e delle notti passate in bianco tra scartoffie e pacchetti di sigarette. Dotato di una presenza fisica perfetta per il ruolo, il suo corpo da eterno perdente coadiuva l’intera storia, riuscendo, infine, a strappare la scena a una fin troppo arzigogolata narrazione. Supportato da un incisivo quanto mai essenziale gruppo di attori esperti, tra cui anche l’infimo dirigente della CIA Robin Wright, e i tedeschi Nina Hoss e Daniel Brühl, La spia catalizza tutta la sua attenzione sui personaggi.

La regia di Corbijn, sobria ed elegantissima, si fonda sul principio dell’attesa. In attesa è, infatti, lo spettatore che si vede scorrere davanti un’interminabile serie di appostamenti, sguardi fugaci e ticchettii di orologio che, mano a mano, lo condurranno ad un lungo e fragoroso sbadiglio finale. E’ questa la sua pecca più grande, dopotutto; la mancanza di una climax che ribalti completamente i giochi e sconvolga gli equilibri diegetici di una linearità che, alle lunghe stanca, non c’è mai. Persino il finale, fiacco e banalotto, che vuole sconvolgere vanamente chi guarda, risulta già visto e privo di quel pathos che, comunque, non avrebbe risollevato un’opera priva di dinamismo, che convince solo parzialmente. La Spia – A Most Wanted Man sarà nelle nostre sale dal 30 ottobre, distribuito da Notorious Pictures.

Noemi Macellari

PRO CONTRO
  • Regia elegante e sobria.
  • L’ultima grandissima prova d’attore di Philip Seymour Hoffman.
  • Un cast decisamente azzeccato.
  • .

  • Narrazione fin troppo articolata.
  • Priva di dinamiche interessanti atte allo sviluppo della trama.
  • Sbadiglio finale inevitabile.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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