Le cose che verranno, la recensione
“Prenderla con filosofia”, un modo di dire comune con il quale tendiamo a innalzare la figura del filosofo a detentore di verità che rendono la sua vita serena, anche di fronte alle disavventure e alle preoccupazioni. Ne Le cose che verranno (Orso d’Argento a Berlino 66 come Miglior Regia), la regista Mia Hansen-Love mostra che, davanti allo scorrere incessante degli eventi, ricostruire una vita non è mai semplice.
Nathalie è un’insegnante di filosofia in un liceo di Parigi; insegnare ai giovani a pensare con le proprie teste è il suo obiettivo nella vita. La sua quotidiana regolarità viene stravolta da un singolo evento: il marito le confessa di volerla lasciare per una donna più giovane. Quando la madre muore e i figli sono ormai grandi, Nathalie si ritrova con una libertà inedita e destabilizzante con la quale dovrà fare i conti.
Il più recente professore di filosofia al cinema è stato il poco intellettuale Joaquin Phoenix di Irrational Man di Woody Allen, ma Nathalie è esattamente quello che ci si aspetta da una professoressa: si pone domande costantemente, riesce a essere malinconica e divertente allo stesso tempo. La pellicola è una continua scoperta dei processi interiori di Nathalie: essi non vengono mai esplicitati chiaramente, ma si cerca di catturare l’essenza del personaggio senza spiegarla con molte parole (non è un film costruito sui silenzi, ma va più a fondo del consueto nella psicologia della protagonista). Nonostante le librerie stracolme, Nathalie non riesce ad arrivare a risposte sicure; la storia si fonda su un rapporto ambivalente che contrappone la libertà al destino (L’Avenir è il titolo originale della pellicola) e lei non sceglie tra la convinzione di lasciarsi condurre dagli eventi e la possibilità di autodeterminarsi. Il pubblico rimane disorientato di fronte a una protagonista tanto forte quanto indecisa di cui non capiamo sempre le azioni.
Questa insicurezza esistenziale è ciò che la rende diversa da molti altri studiosi distaccati o freak dei racconti cinematografici: nonostante il personaggio sia sostanzialmente monocorde, i versi di poeti e filosofi si alternano a qualche parolaccia, i silenzi a momenti di furiosa rabbia. Rimane ostico appassionarsi completamente ma risulta impossibile non rimanere sorpresi da questa donna.
La regista ha confessato di aver scritto il film pensando proprio a Isabelle Huppert: questa particolarità in fase di scrittura unita a un’interpretazione in sottrazione della Huppert hanno permesso di far emergere un personaggio riflessivo e toccante.
A livello narrativo, la sceneggiatura è percepito come priva di un terzo atto, forse non richiesto dagli intenti della regista/sceneggiatrice: nell’ultima mezzora, la narrazione deriva verso un mood completamente riflessivo e non narrativo.
Ripensando alla Nathalie di Isabelle Huppert ci penseremo due volte prima di affermare “prendila con filosofia” con tanta leggerezza.
Matteo Illiano
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