Le Streghe, la recensione
Appetitosa fonte narrativa per il cinema hollywoodiano di genere fantastico, l’opera omnia di Roald Dahl sta passando di mano in mano ai più celebri e amati autori di cinema fantasy contemporaneo, da Tim Burton che ha prodotto James e la pesca gigante (1996) di Henry Selick e diretto la seconda trasposizione di La fabbrica di cioccolato (2005) a Steven Spielberg che ha firmato la regia del più recente adattamento de Il Grande Gigante Gentile (2016), passando per Danny De Vito (Matilda 6 mitica) e Wes Anderson (Fantastic Mr. Fox). Ora l’onere e l’onore di trasporre Dahl spetta a Robert Zemeckis che, dietro la produzione di Alfonso Cuarón e Guillermo Del Toro – che firma anche la sceneggiatura – dà vita alla seconda trasposizione live-action de Le Streghe.
Dopo il cult fanta-horror per ragazzi di Nicolas Roeg del 1990, Chi ha paura delle streghe?, il romanzo che Dahl scrisse nel 1983 torna come film grazie al contributo del regista di Ritorno al futuro e Forrest Gump, che trova nel materiale narrativo rielaborato insieme a Guillermo Del Toro (che era stato designato inizialmente anche come regista, ma la sua idea di realizzare il film in animazione stop-motion è stata bocciata da Warner Bros.) pan per i suoi denti. Il film, infatti, che nelle intenzioni sarebbe dovuto essere più fedele al romanzo ma di fatto non lo è, appare molto in sintonia con la personalità autoriale di Zemeckis sia per il suo sempre attento approccio all’utilizzo delle nuove tecnologie, sia per un discorso tematico che tende a raccontare il “fantastico” a un pubblico molto ampio senza tralasciare una visione macabra e grottesca.
Le Streghe racconta la storia un ragazzino di colore nella Alabama del 1967 che, rimasto orfano in seguito a un incidente stradale dal quale è rimasto miracolosamente illeso, viene affidato alle cure della nonna. Ben presto, il ragazzino scopre che nel suo paese, così come nel resto del mondo, si aggirano camuffate tra gli umani delle orride streghe che hanno come principale obiettivo eliminare tuti i bambini del mondo. Istruito dalla nonna, che ha avuto a che fare con le streghe da bambina e ha imparato nel tempo a riconoscerle e starne alla larga, il bambino fa la conoscenza con una megera che vuole ucciderlo e per questo la nonna decide di andare per qualche tempo in un lussuoso albergo in cui lavora un suo caro cugino, così da far calmare le acque. Il fato vuole che proprio in quell’albergo sia in corso una riunione di streghe da tutto il Paese, presieduta dalla Strega Suprema che vuole illustrare alle sue discepole come tramutare i bambini in topolini.
La prima cosa che salta all’occhio dello spettatore è il “tradimento” del nuovo film, sia in confronto alla versione del 1990 che al romanzo, attuata da Zemeckis (e Del Toro) per fornire una nuova contestualizzazione alla storia. Non più la Norvegia degli anni ’80, ma l’Alabama dei ’60, il che fornisce un afflato narrativo tale da affrontare la tematica della disuguaglianza sociale e razziale ponendo al centro della vicenda un bambino di colore e sua nonna, vittime designate di una supremazia bianca che intende eliminarli in silenzio (ed è esemplare il flashback che mostra la miseria degli afroamericani nei primi del ‘900, la cui scomparsa sarebbe passata completamente inosservata). Una chiave di lettura che però rimane molto superficiale e presto messa da parte in favore di uno spettacolo avventuroso d’intrattenimento a portata di bambino. Infatti, Le Streghe tende a concentrare in poco tempo tutto il primo atto, affidandosi a una cornice utile a riassumere alcune peculiarità narrative, e dilungarsi invece nel secondo atto concedendosi alla spettacolarità visiva e d’azione tipica di molte produzioni mainstream odierne.
Zemeckis appare interessato a conferire al suo film un ritmo forsennato, scremandolo da qualunque momento morto e facendone un racconto incalzante e colorato in cui i costumi, le scenografie, il gioco con le proporzioni e gli effetti visivi fanno il ruolo del leone. Questo annebbia prepotentemente quell’alone di magia e macabro che si respirava, ad esempio, nel film di Nicolas Roeg trasformando in momenti di mirabolante spettacolo quelli che potevano essere più crudeli e visivamente orrorifici. Dal suo canto, però, anche se si è smorzata la componente repellente dell’aspetto delle streghe, il look della Strega Suprema – interpretata da una Anna Hathaway in continuo ma efficace overacting – ha un che di perversamente affascinante con quei tagli ai lati della bocca che le conferiscono un osceno sorriso colmo di denti aguzzi, lingua biforcuta, mani a tre dita, braccia snodate e piedi con unico dito.
Grande attenzione alla CGI, che sostituisce in toto la ben più affascinante effettistica meccanica (tra l’altro curata da Jim Henson) del precedente film e un casting molto attento che alla già citata Hathaway nel ruolo della cattiva affianca la sempre brava Octavia Spencer nella parte della nonna, Stanley Tucci in quello del direttore d’albergo e Jahzir Bruno nella parte del piccolo protagonista.
Meno iconico del precedente adattamento cinematografico e più adatto al giovane pubblico moderno, Le Streghe di Robert Zemeckis ha quel sapore disneyano che potrebbe sancirne il successo ma allo stesso tempo un ammorbidimento generale che lo rende più anonimo e una inspiegabile mancanza di approfondimento sulle tematiche sociali che all’inizio sembravano contraddistinguerlo.
Inizialmente annunciato da Warner Bros. per un’uscita cinematografica, Le Streghe è stato poi destinato al solo settore delle piattaforme VOD, lanciato in streaming a partire dal 28 ottobre dopo una presentazione nazionale fuori concorso nell’ambito della 18ª edizione di Alice nella città.
Roberto Giacomelli
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Vi mostriamo 10 minuti del film.
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