L’insulto, la recensione
Dopo lo splendido E ora dove andiamo? di Nadine Labaki, anche Ziad Doueiri affronta la difficile divisione interna che sta attraversando il Libano.
L’insulto è un film sull’onore, l’impulso, il credo, la rabbia e la giustizia. Tutto un agitarsi di animi che emerge da una questione molto semplice, peraltro ispirata ad un episodio capitato allo stesso regista, destinata a diventare qualcosa di più grande.
Quando il carpentiere Yasser, un anziano profugo palestinese di fede musulmana, inizia i lavori sotto un ridente condominio il caso vuole che si imbatta in Toni, un rozzo meccanico libanese di fede cristiana e sprezzante verso il popolo “invasore”.
Una banale disputa sorta per una questione di tubature dà però ai due l’occasione di scontrarsi, di mancarsi di rispetto. Gli animi si surriscaldano e Toni finisce con l’insultare Yasser che a sua volta reagisce con l’aggressione fisica. Quello che doveva essere l’episodio isolato di un giorno si traduce in un caso giudiziario che farà emergere il vero volto della nazione libanese.
Al di là della sua importanza sociale, L’insulto non rinuncia ad avere una sua tensione narrativa. Le buone idee di regia di Doueiri sembrano in parte influenzate dal cinema di Costa-Gavras, soprattutto per quanto riguarda l’aggressione da parte dei media subita dalla vicenda centrale. Come spesso accade nei film del regista greco (ma naturalizzato francese), l’analisi della storia diventa ne L’insulto il pretesto per un’importante riflessione sul presente.
Il battibecco ordinario dà infatti a Doueiri l’occasione per immergersi nel profondo dell’animo di due popoli con un passato ancora presente fino a maturare una coscienza politica che guarda ad un futuro speranzoso.
C’è qualcosa di atemporale persino nei personaggi di Toni e Yasser e di questo il regista sembra esserne consapevole: da un lato l’odio di Toni verso il popolo palestinese, dall’altro lo spirito patriottico che porta il mite Yasser a compiere un gesto estremo.
Pur specchio di una nazione ben precisa, la rivalità che si instaura tra i due uomini potrebbe benissimo rappresentare il mondo e la nostra incapacità di convivere con il prossimo.
Una scena emblematica nel film sembra rappresentare bene questo aspetto: usciti dal tribunale, Toni e Yasser cercano si salire sulle rispettive macchine. Ma le due auto sono talmente vicine che i due non riescono ad aprire la propria portiera senza rischiare di danneggiare l’auto dell’altro e sono così, loro malgrado, costretti a cedere il passo. Ma si tratta appunto di una “falsa cortesia”, frutto di un arcaico istinto di sopravvivenza piuttosto che un vero gesto di convivenza. In una situazione come questa gli animi possono improvvisamente esplodere e non c’è da stupirsi quindi di quello che accade nel corso del film.
Con L’insulto Doueiri rinnova il dramma giudiziario dandogli una formula nuova e scegliendo un argomento difficile da trattare. Ma va oltre la storia centrale e al discorso politico inserendo diversi indizi che potrebbero dar vita ad un discorso di carattere ancor più generale.
Una piacevole sorpresa.
L’insulto ha vinto alla Mostra del cinema di Venezia 2017 la coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile ed è il candidato libanese alla corsa agli Oscar 2018.
Claudio Rugiero
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