Lovelace, la recensione
La pornografia cinematografica, si sa, è vecchia quanto il cinema stesso, ma ha sempre circolato in maniera illegale, mai in circuiti mainstream e riconosciuti dalla legge. Fu Mona the Virgin Nymph, un mediometraggio diretto da Michael Benveniste e Howard Ziehm nel 1970, ad avere per la prima volta il benestare legale negli Stati Uniti, anche se il merito del vero e proprio sdoganamento del porno sul grande schermo si deve a un film che ha fatto davvero la storia della settima arte. Il titolo è Gola Profonda (Deep Throat) ed è proprio da quel clitoride posizionato nel punto “sbagliato” che ha avuto inizio la grande avventura commerciale del cinema hard. A raccontarne la lavorazione e il mito che ne campeggia dietro ci pensa Lovelace di Rob Epstein e Jeffrey Friedman, che inquadrano il tutto attraverso il punto di vista di Linda Lovelace, attrice protagonista di Gola Profonda.
Prendendo spunto proprio dall’autobiografia dell’attrice, Ordeal, Lovelace ci racconta la giovinezza di Linda Susan Boreman, ingenua ragazzetta newyorkese che, all’età di 22 anni, incontrò e sposò Chuck Traynor. Fu proprio il marito ad introdurla nel mondo del cinema, presentandola al regista Gerard Damiano, che stava preparando la commedia hard che sarebbe diventata, al botteghino, uno dei fenomeni della stagione. Pagata la ridicola cifra di 1.250 dollari e sottomessa a un marito che la stava chiaramente sfruttando come fosse una prostituta, la Lovelace attraversa un periodo burrascoso, che la fa diventare una delle donne più in vista del periodo, partecipando anche ad altre produzioni hard e programmi televisivi, e, allo stesso tempo, una ragazza infelice e maltrattata. Segue un divorzio, la rinnegazione della carriera e una vera e propria lotta contro l’industria della pornografia.
Il lavoro di Epstein e Friedman, che avevano già diretto Urlo sulla vita di Allen Ginsberg, è estremamente di parte, come prevedibile, adottando in toto il punto di vista vittimistico della Lovelace. Questo dato sembra aver portato buona parte della critica a bocciare il film, eppure molto del fascino di Lovelace sta proprio nella sua visione “estrema” della vicenda. Attraverso gli occhi di una ragazza di borgata, viviamo la ricerca dell’American Dream e la sua puntuale demistificazione. La poco più che ventenne Linda, graziosa ma non particolarmente avvenente, viene accolta a braccia aperte dalla vita: l’amore, i soldi, la fama… tutto sembra un sogno, soprattutto se paragonato all’ambiente scalcagnato e bigotto dalla quale proviene, dove una madre che ha il volto di Sharon Stone e un padre che ha quello di Robert Patrick l’hanno sempre tratta per quella ragazzina semplice quale era. Chuck Traynor, interpretato da un efficacemente odioso Peter Sarsgaard, è il principe azzurro che si svela orco, violento e assetato di soldi, che prima la conquista con le sue promesse di fama e poi la getta nel fango.
Il film è molto netto nella descrizione dei personaggi, quasi banale, potremmo dire, nel delineare buoni e cattivi, ma il tutto è mutuato dalla testimonianza di Linda Lovelace, da come lei ha vissuto la vicenda e come l’ha restituita alle cronache. In questo senso è molto interessante vedere come il film sia divisibile in due tranche nette. Una prima parte, più solare e mirata a descrivere l’ascesa di Linda, fotografa i primi anni ’70 e l’industria nascente del porno in maniera non dissimile a come visto nel capolavoro di Paul Thomas Anderson Boogey Nights. Una prima ora che vira spesso nella commedia o nel teen drama, con un’ottima ricostruzione storica che si percepisce anche a livello tecnico/visivo, con fotografia tendente a colori chiari, quasi slavati, e un aspect ratio coerente con le produzioni dell’epoca. A questo segue una seconda parte più cupa e drammatica, visivamente opprimente e violenta, che serve a mostrare il netto cambiamento nella vita della protagonista.
Da un punto di vista strettamente di intrattenimento cinematografico, funziona meglio la prima metà del film, ma questa sua caratteristica stilistica lo rende un’opera strutturalmente originale e interessante.
Pur essendo un film che parla dell’ambiente del porno, non c’è molta concessione all’erotismo e se escludiamo alcuni nudi, tra cui della splendida protagonista Amanda Seyfried, le scene tendono a far immaginare piuttosto che a mostrare. Scelta ampiamente prevedibile, considerando la caratura mainstream della produzione.
Ai già citati Seyfried, Sarsgaard, Stone e Patrick, si affianca un cast ricco di altri nomi di rilievo, tra cui il Gargamella dei Puffi cinematografici Hank Azaria, che interpreta il regista Gerard Damiano, James Franco nei panni del papà di Playboy Hugh Hefner e Juno Temple in quelli dell’amica d’infanzia della protagonista.
Che dir si voglia, Lovelace ha una sua coerenza e la porta avanti in maniera efficace, facendosi ricordare sia per la cifra stilistica visiva sia per la sfiziosa costruzione narrativa, il che ne fanno un film riuscito.
Lovelace è nei cinema italiani dall’8 maggio grazie a Barter Entertainment.
Roberto Giacomelli
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