Loveless, la recensione
Dopo Il ritorno, ancora genitori e figli al centro del nuovo film di Andrej Zvjagincev. Ma questa volta ad essere annullato non è l’ego del padre-padrone come avveniva nella splendida opera prima del regista russo, bensì del figlio, letteralmente soffocato dall’assenza di amore del suo nucleo familiare.
Tra le mura domestiche della famiglia protagonista di Loveless si consuma infatti una solitudine senza fine in cui il piccolo Alyosha soffre in silenzio. Zhenya e Boris, i genitori del bambino, sono gli artefici di questa terribile atmosfera che si è creata nel loro appartamento. La coppia si sta infatti lasciando e nel peggiore dei modi. Ciascuno dei due ha già una nuova appagante relazione ed entrambi non vedono l’ora di buttarsi il passato alle spalle: litigano sulla vendita della casa e nessuno dei due lotta per l’affido del figlio. Ben presto però Alyosha scompare senza lasciare traccia.
Allontanamento volontario o inevitabile conseguenza dell’insensibilità degli adulti? Da questo momento in poi sembra essere proprio questo il dubbio che si insinua nella mente dello spettatore. E nel frattempo la vita dei due (ormai ex) coniugi prosegue senza un vero turbamento.
L’assenza d’amore non produce dunque nessuna vera emozione. Anzi, l’incapacità di amare è dichiarata persino dagli stessi personaggi. Ma è un’assenza d’amore che questa famiglia sembra tramandarsi da diverse generazioni.
Premiato con il premio della giuria a Cannes 2017, il candidato russo nella corsa agli Oscar 2018 è Zvjagincev allo stato puro.
La scrittura di un soggetto piuttosto semplice si fa immagine potente e raggelante e la regia dà il meglio di sé nel rappresentare il soffocamento del piccolo Alyosha, sfondo per i due brutali genitori del film ma soggetto preferito dal regista.
Con Loveless Zvjagincev rilegge L’avventura antonioniana in una chiave più personale che talvolta punta al criptico, talvolta allo scioglimento appena sfiorato. Qui però la sparizione non dà ai due protagonisti l’occasione di ritrovarsi. Al contrario, i due hanno dal momento della scomparsa del figlio un ulteriore pretesto per mettere fine al loro matrimonio (sulla cui natura non si smette mai di interrogarsi per tutta la durata della visione).
Alyosha, l’unica traccia viva di questa famiglia allo sfacelo, viene improvvisamente meno. La sua assenza, simbolo dell’amore scomparso, ci fa sentire ancora di più l’angoscia di un paesaggio umano gelido e desolato in cui i due genitori sembrano persino a loro agio. Lo stesso sguardo di Zvjagincev risulta sguardo freddo e privo di qualsiasi illusione. Anzi, talvolta il regista opta persino per una mise en scène più “pulita” e meno intrisa del simbolismo che lo contraddistingue per lasciare più spazio all’osservazione degli eventi.
Ma la sparizione di Alyosha risulta ancora più agghiacciante se relazionata alla gravidanza dell’attuale compagna di Boris: il passato viene quindi impietosamente spazzato via dal nuovo senza scatenare nessuna comprensibile reazione.
Non c’è redenzione in Loveless, in cui la “guerra fredda” cede infine il passo allo scontro fisico. ma è uno scontro fondato non tanto sul dolore quanto piuttosto sul rancore, sui torti precedentemente rinfacciati, quasi non fosse altro che il mero completamento della separazione.
Claudio Rugiero
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