Lucca Film Festival 2015 – Terry Gilliam vs. David Cronenberg

Toccare con mano.
Questo è sembrato il leitmotiv dell’undicesima edizione di questo piccolo, curioso, festival.
È tutto vero, venite e ammirate.
Lucca è una città dalla geometria difficile e ristretta, facilissimo perdersi a due passi dal treno o macchina che accompagna chi è interessato ad esplorarla, e, pertanto, ciò che colpisce dalle prime righe di introduzione del programma è, su tutti, il coraggio dell’organizzazione.
Terry Gilliam, Alfonso Cuaron, Jeremy Irons e, inizialmente, David Cronenberg in un paese così delicato e silenzioso come Lucca?
Certo, quel dolce ritrovo di case e vicoli supera annualmente le folle inferocite di cosplayers e bancarelle spietate del Lucca Comics, ma se dei fumetti si può parlare come un mercato di nicchia, un po’ meno si può dire del cinema, e ancora meno si può parlare di nicchia con gli ospiti 2015.
Al massimo una nicchia larga.

L’anno scorso l’ambizione del festival decretò la formazione di uno spiacevole ricordo, invitando l’affabile David Lynch tra le piccole mura antiche a parlare di cinema e meditazione, ma un terribile errore di valutazione causò una letterale onda di anime umane attorno all’edificio in cui sedeva pacifico il maestro, e la situazione volse al peggio.
Direzioni confuse, scarsa sicurezza e il solito, nutrito, gruppo di scalmanati che spingeva a destra e sinistra pur di sfiorare le onde pilifere di Lynch.
Lynch era troppo Lynch per Lucca.
All’uscita del programma 2015, lo sguardo curvo di Cronenberg spuntò tra le pagine dei volantini e i banner digitali mentre i bellissimi poster pubblicitari elogiavano ogni suo elemento cinematografico possibile.
La paura dei più fu scontata, da far tremare. Un altro idolo in mezzo alla folla che sparirà scortato dai manichini neri della security.
Il masochismo era inoltrato comunque, con fiumi di commenti alla pagina dell’evento.
“Ci saranno sessioni di autografi?” “Potrò stringergli la mano?” “Sarà possibile prenotare il posto online?”
La paura della folla ristretta scremò i fan più pigri, magari quelli che di Cronenberg avevano visto solo i più celebri e ammirandoli solo per il suo cattivo gusto biologico.
Ma poi, Cronenberg è svanito. Così.
I poster e le foto rimasero, ma del maestro non vi era più traccia all’interno del programma.
Solo un laconico “sarà presente in diretta su Skype” e null’altro.

Generale era il presentimento che il Lucca Festival avesse fallito. Il sito era particolarmente ostico e tendente al crash più imprevedibile. La pagina ufficiale era scesa in un silenzio tombale a eccezione del solito post su come accedere al sito ufficiale e come raggiungere il festival.
Ormai era tutto ricolmo di scarafaggi e macchine da scrivere, di mosche e teste deformate.
Nessuno desiderava omaggiare Cronenberg, tutti desideravano Cronenberg.
Poi, l’annuncio in perfetto stile Lucca Film Festival.
Gilliam, Cuaron, Irons. Punto.
Nessuna esplosione di colori o fuochi d’artificio come spesso sbandierano anche i più rinomati eventi di cinema. Così è, se vi piace, ci siamo riusciti.
Un’ottima Torta alla Settima Arte.

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L’Attore, L’Oscar, il Visionario, con guarnizione di Cronenberg, il cui scheletro si è adagiato alla perfezione attorno ai nuovi arrivati.
Il sito torna a fiorire, tutto è prenotabile, contattabile, sincronizzabile.
Tutto funziona come dovrebbe e arriva il momento di toccare con mano.
Cambiano gli spazi.
Gilliam viene accolto in un meraviglioso teatro dalle volte barocche e lunghi tendaggi rossi ricamati d’oro, il soffitto dipinto da affreschi ottocenteschi, o così sembra di ricordarsi almeno.
Non ci sono più la stradina soffocante e l’edificio asettico impenetrabile di Lynch, colpisce il silenzio e, soprattutto, la calma. Siamo tutti qui per lo stesso motivo, ad ascoltare la volontà e il pensiero di un Maestro che ammiriamo seguire nei suoi panorami eterni e assurdi.
La calma è glaciale, pizzica un po’ l’attesa, ma poi Gilliam arriva e ruba il palcoscenico anche a se stesso.

Parla con le onomatopee, modula le sue gesta con un montaggio in presa diretta di pernacchie e strizzate d’occhio e poi tronca il tutto con uno sguardo serissimo, un cenno della mano netto e un accento americano inzuppato nel british.
Non se la prendano i moderatori della lezione, ma Terry Gilliam vi ha proprio tolto il tappeto da sotto i piedi e, quando inizia la sua notevole incursione nel mondo dell’animazione, spara subito l’aneddoto da Python-nerd sull’incontro con John Cleese e poco ci manca che si alzi in piedi a veicolare i suoi racconti, balzando agli estremi del palcoscenico come una rockstar.
La ribellione espressa da Terry Gilliam nei suoi racconti è sempre quella riproposta nelle sue traversate utopiche; del piccolo visionario energico che si trova preda di gigantesche multinazionali e organizzazioni ingorde e volgari, che spesso e volentieri ritrovano la loro realtà nella figura dei produttori Weinstein o qualche chief a capo del Tutto che non desidera comprendere ciò che il singolo ha da dire.

Un’archetipo di battaglia ben supportato dalla presenza di Nicola Pecorini, eccellente direttore della fotografia di Parnassus, Paura e Delirio a Las Vegas, Tideland.
“Molti registi hanno un amore per se stessi al limite dell’onanismo” e “Quegli orribili Fratelli Weinstein tentarono di controllare la persona sbagliata, nel loro caso ebbe lo stesso effetto di una martellata sui -“ sono solo alcune perle regalate durante la Lezione di Cinema e, ancor più di uno scambio di idee, la presenza dei due ribelli su poltrone e divanetti tanto eleganti genera l’impressione di assistere a un salotto al di fuori del tempo.
Siamo entrati per vedere l’anarchico e invece abbiamo trovato la serenità, perché sia Gilliam che Pecorini sembrano l’integrità artistica in persona.

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Senza ego non c’è bisogno di insultare nessuno, solo chi desidera mettere il proprio davanti alla magia che questi due maestri dell’immagine moderna possono e vogliono creare.
Lo scambio di domande rompe la già sottile pellicola tra palco e pubblico, ora possiamo entrare in contatto con loro e, con meraviglia, ci si accorge che quella buffa impressione di intimità dei Q&A in realtà era già presente dai primi momenti dell’evento e che, quindi, nel gran trambusto di pregi in scena, vi era anche una generosa dote di sincerità.
Arriva il momento per i fan. Autografi e foto.
Pecorini schiva un po’, ma giusto perché non si aspetta attenzioni come il suo regista, e anche qui Terry non sembra voler decidersi a svanire.
Si scrolla di dosso l’effige da Rockstar e diventa un clown della miglior tradizione.
Selfie di boccacce, lingua di fuori, minaccia di prenderti a pugni indossando guantoni invisibili e poi comincia a rifilarti due ganci contro il petto, sfiorandoti appena, con un contorno di suoni e sberleffi in grado di trascinarti sul ring assieme a lui.
Ma soprattuto, lui vuole parlare, gli piace parlare.
Gli piace toccarti, abbracciarti, stringerti la mano o darti una pacca sulla schiena pazzesca.

È Terry Gilliam, sempre e comunque, e non fa trasudare nemmeno una goccia di stanchezza o noia alla solita schiera di appassionati.
Ma poi, come ogni bel sogno che si rispetti, svanisce perché viene letteralmente trascinato via.
Via, lontanamente, via.
Braccia lunghe e pallide che appaiono da dietro le tende, si avviluppano alle sue spalle e lo trascinano via, come senza peso.
E’ finito. Tutti fuori, Gilliam non c’è più.
Voci di corridoio rivelano che, come sempre, Gilliam è stato chiuso in una piccola saletta in qualche ala sperduta dell’edificio a rilasciare interviste ai tre o quattro giornali d’élite.
Poi, il giorno successivo, tutto è steso fuori, a rilanciare l’esclusività, a rivangare quanto unico e irripetibile sia stato quel momento e quanto furbe siano state le domande rivolte all’intervistato.
Una battaglia di ego in nome del favorito e del sistema in cui tutto va, necessariamente, predisposto. L’amico, il collega, il preferito, il più simpatico, il più colto.
La sottile ironia di un grande ribelle invischiato a dover star chiuso in una stanzetta a ruminare parole e pensieri per lavori altrui, anche se all’uscita posteriore c’è già un nuovo gruppetto che sta pregando di poter toccare con mano l’idolo che hanno mancato per una manciata di centimetri.

Ma così è, se vi pare. Abbiamo toccato con mano abbastanza Gilliam, se abbiamo avuto abbastanza fortuna e abbastanza velocità.
La grande ironia è che così sembra funzionare tutto, e chi se ne frega dei selfie, degli autografi, delle strette di mano, delle flebili tentazioni che genera lo stardom a chi lo idolizza, è una tentazione comune, ciò che si avverte è aver perso la comunicazione con chi poteva donare molto di più di un tempo ristretto.
Ciò che poteva importare era lo studente di cinema che gira cortometraggi e si ispira a Paura e Delirio a Las Vegas, e magari vorrebbe condividere molto più di una stretta di mano con Gilliam, molto più di una domanda del Q&A e magari non sentirsi dire “Adesso basta bambini, lo zio Gilliam deve andare, deve andare a fare cose da grandi nella saletta al piano di sopra su, su”.
Ciò che avrebbe dovuto importare era permettere a Gilliam di raggiungere la piazzetta e diventare uno di quei pazzi che stanno su uno sgabello e profetizzano l’arrivo del nuovo mondo, se questo gli interessava, il pubblico c’era e sarebbe stato in silenzio, ad attenderlo.

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L’oblio generale in cui si rischia di crollare, di comune accordo, è che comunque il Grande Artista va sempre chiuso in una campana di vetro o sul più alto dei palcoscenici, frenando subito chiunque tenti di interagire con lui troppo a lungo, portandoselo via come grassi bambini egoisti.
E Gilliam stimola la ribellione, perché sembra un gioco a cui è costretto partecipare ma che è troppo gentile per rifiutare. Si adegua un po’ a tutto.
Non me ne vogliano gli organizzatori del Lucca Film Festival, la mia è più una provocazione che una critica. Come ogni festival di cinema che si rispetti, per far funzionare tutto bisogna attenersi a certi ritmi, certi compromessi e dinamiche. Lo so.
Forse sono io il Bambino grasso che piange perché voleva passare più tempo con l’amichetto, forse c’era veramente una platea di bambini grassi e dispettosi che piangevano alle mie spalle, noncuranti di essere alla ricerca di una situazione utopica in cui, trovandosi al cospetto di una pietra miliare vivente, desideravano solo scambiare quattro chiacchiere veloci e toccare ancora di più con mano il personaggio.
Tutto è concesso e anzi, il vostro Festival colpisce, oltre che per il coraggio, anche per l’equilibrio.

Il Lucca Film Festival sembra a tutti gli effetti l’anello mancante tra quelle rassegne indipendenti che nascondono perle segrete e le più eleganti celebrazioni della settima arte.
C’è un ago bloccato proprio lì, al centro, e avete imparato meravigliosamente dal problema Lynch.
Poi c’è la mostra Evolution del fantasma Cronenberg, che è stata una mossa a dir poco azzeccata.
Teche immense ripiene di oggetti e curiosità dalla mente del regista Canadese.
Gli scarafaggi-da-scrivere de Il Pasto Nudo, la mano carnosa e televisiva di Videodrome, le decine di videogiochi organici di eXistenZ e la grande, maestosa camera di clonazione de La Mosca.
Un delirio di forme che colpisce allo stomaco, una delle più gradite sorprese che un fan del Body Horror possa mai ricevere.
Toccare con mano. Centrato anche questo.
Il Lucca Film Festival ha un potenziale inespresso che acquisirà sicuramente edizione dopo edizione, ospite dopo ospite, provocazione dopo provocazione, e se il bambino grasso rischia di distrarvi dai già notevoli traguardi raggiunti quest’anno perché pestifero, allora ignoratelo senza problemi. Possiamo convivere coi vostri tempi e le vostre idee, state trovando dei seguaci.
La rivoluzione è gradita, ma non essenziale.
Per il momento, tenteremo di comportarci da adulti.

Luca Malini

A seguire, il VIDEO della Lezione di Cinema di Terry Gilliam:

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