Most Beautiful Island, la recensione

L’attrice spagnola Ana Asensio esordisce alla regia con il sorprendente Most Beautiful Island (2017), calandosi anche nella parte della protagonista. Un duplice ruolo dunque, tanto più difficile nella misura in cui il film è un complesso thriller sociologico ricco di sotto-testi narrativi. Attrice in vari film, cortometraggi e serie tv, la Asensio debutta dietro la macchina da presa dirigendo con coraggio e inventiva, sopperendo così alla ristrettezza del budget e mettendo in pratica ciò che è essenziale per il cinema: buone idee e una tecnica solida.

Una sfida molteplice, quella di Ana Asensio. Innanzitutto dal punto di vista produttivo, perché esordire alla regia girando negli Stati Uniti – per di più un film così particolare e coraggioso come vedremo – non è affatto semplice: fondamentale è stata la sua determinazione, che l’ha spinta a investire il proprio denaro e a bussare a varie porte fino a trovare la casa di produzione Glass Eye Pix. Ma anche una sfida personale, visto che nella prima parte del film ha trasposto momenti della sua vita – le difficoltà di un’immigrata spagnola negli States. Infine, una sfida cinematografica in cui la Asensio si è confrontata con alcuni grandi autori del passato per costruire qualcosa di completamente nuovo e spiazzante, dimostrando una notevole padronanza della tecnica cinematografica. Da notare inoltre l’utilizzo della pellicola per le riprese (in 16mm), invece del digitale, un dato lodevole per un film low-budget.

La vicenda, scritta e sceneggiata dalla regista stessa, ha come protagonista Luciana (Ana Asensio), una donna spagnola che si trasferisce a New York per sfuggire al suo passato – da un dialogo telefonico con la madre, intuiamo che ha perso sua figlia per un non precisato incidente di cui si sente responsabile. Per sopravvivere accetta i lavori più umilianti, fino a quando l’amica russa Olga le propone di sostituirla per un misterioso ed esclusivo party: ben duemila dollari per partecipare a un gioco, in cui gli unici requisiti richiesti sono vestirsi elegante e accettare le regole. Nessun contatto fisico con i partecipanti, le promette l’amica. E così sarà, ma una volta giunta nella stanza dove si svolge il party, Luciana scoprirà trattarsi di un gioco molto pericoloso e potenzialmente mortale.

Most Beautiful Island è diviso in due segmenti narrativi, che confluiscono l’uno nell’altro senza soluzione di continuità; sorprendente per una regia d’esordio, oltre alla tecnica, è anche la capacità di dettare i tempi giusti: utilizza gli 80 minuti scarsi di durata (compresi i titoli di coda) dosando con sapienza le varie fasi del film e creando un climax narrativo che cresce sempre più fino a deflagrare nella seconda parte.

La prima è quella di stampo più drammatico e sociologico, un po’ alla Ken Loach, per la quale la regista si è ispirata – come dichiara in un’intervista al critico Simone Tarditi – ad autori come i fratelli Dardenne, Andrea Arnold e John Cassavetes (ma l’occhio di chi scrive coglie dei rimandi anche al primo Scorsese, quello di Mean Streets per intenderci, e ai film underground di Andy Warhol). L’incipit deforma la realtà come in un quadro di Modigliani, trasfigurando la massa che cammina per strada in figure longilinee e sbilenche, dopo di che la regia inquadra la vita della protagonista nella caotica Grande Mela, mettendone in risalto gli aspetti più difficili legati alla povertà e alla condizione di immigrata: un film dunque tremendamente attuale, che pur trasformandosi poi in un thriller quasi polanskiano mantiene un forte rimando alla realtà in grado di far riflettere lo spettatore.

Alla regista non interessa troppo parlare del passato della protagonista, che infatti rimane avvolto nel mistero, bensì inquadrare in modo crudo e diretto il suo presente, in quella che è chiamata ironicamente nel titolo e in una scritta di Luciana “l’isola più bella”, una Manhattan che inghiotte fra la folla e i grattacieli chi non ha la forza di sopravvivere. La vediamo vestita da pollo per pubblicizzare un fast-food, oppure fare la baby-sitter con poca destrezza, vive in un appartamento fatiscente (impressionante la scena degli scarafaggi che escono dal muro), del quale fatica a trovare i soldi per l’affitto; persino il medico è ostile, vista la sua condizione di duplice svantaggio – straniera e povera. Tutto è girato senza filtri né mediazioni, con un’immagine squisitamente cinematografica (siamo pur sempre in un film in pellicola) ma con uno stile quasi documentaristico che ha il merito di saper coinvolgere lo spettatore senza mai annoiare; per rendere ancora più netto il realismo, la regista gira soprattutto con la macchina a mano, utilizza una fotografia neutra e abolisce ogni forma di musica extra-diegetica.

Con l’entrata in scena di Olga (Natasha Romanova), una ragazza russa che vive nelle sue stesse condizioni, Most Beautiful Island conosce verso la metà della storia una netta sferzata che lo proietta nei territori del thriller. L’amica le propone di sostituirla per questo lavoro, tanto misterioso quanto ben pagato: inizia così un viaggio ansiogeno che la regia fa compiere allo spettatore insieme alla protagonista, talmente disperata da accettare il rischio. Ana Asensio, autrice anche di una performance attoriale particolarmente intensa ed espressiva, ci introduce in un mondo oscuro che si dipana come un rebus in varie fasi: prima nei sotterranei di un ristorante cinese, dove le viene data una borsa chiusa con un lucchetto e le viene imposto di abbandonare ogni effetto personale; poi, nello scantinato di un edificio isolato e fatiscente. E qui entriamo in uno stile e in una narrazione tanto realistici quanto surreali (e la contraddizione è solo apparente), in grado di trasmettere allo spettatore la suspense e il disagio in modo quasi epidermico: numerose ragazze (tutte straniere, scopriremo) in una sala in penombra, due inquietanti uomini di guardia (fra cui notiamo Larry Fessenden, attore e regista molto conosciuto nel cinema indipendente americano) e un’affascinante “maestra di cerimonie” (Caprice Benedetti) che conduce le ragazze, una alla volta, in una stanza segreta, il tutto alla presenza di vari ospiti (uomini e donne). Il riferimento ai thriller più morbosi di Roman Polanski è evidente, come confermato nella suddetta intervista a Tarditi, ma le atmosfere richiamano anche Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick: Ana Asensio assorbe vari modelli e restituisce qualcosa di nuovo. Il clima perverso può far pensare ad evoluzioni in stile The Neon Demon o Starry eyes, ma una volta dentro la stanza ci accorgiamo di trovarci più dalle parti di Hostel 2, con i ricchi ospiti che scommettono sulla vita dei partecipanti (la regista si è ispirata a storie spaventose che ha sentito sulla vita notturna di New York e su certi club segreti ed esclusivi).

Nonostante la sferzata in direzione thriller (supportata da un inquietante sound-design di fondo), la regista non abbandona mai la sua impronta stilistica, così asciutta e priva di enfasi eppure in grado di catalizzare l’attenzione dello spettatore con un forte livello di empatia.

Most Beautiful Island, in questa naturale evoluzione da dramma a thriller, è al contempo uno spaccato di vita infernale e una complessa metafora socio-politica sulla società che sfrutta e fagocita i deboli, i presunti “diversi”. Dunque, un film non solo riuscito in ogni suo aspetto, ma importante come riflessione in un’epoca così buia come la nostra.

Davide Comotti

PRO CONTRO
Utilizzo sapiente della tecnica cinematografica.

Capacità di sfruttare al meglio il budget ridotto.

Narrazione efficace e coinvolgente, sia nel realismo sia nella suspense.

Tratta un tema di scottante attualità in un modo personale e unico.

Non è necessariamente un difetto, ma l’uso eccessivo della camera a mano può risultare un po’ fastidioso.
VN:R_N [1.9.22_1171]
Valutazione: 9.0/10 (su un totale di 1 voto)
VN:F [1.9.22_1171]
Valutazione: 0 (da 0 voti)
Most Beautiful Island, la recensione, 9.0 out of 10 based on 1 rating

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.