Non c’è più religione, la recensione

Negli ultimi anni Luca Miniero si è imposto come uno dei maggiori esponenti della commedia italiana contemporanea. A partire dal suo primo grande successo Benvenuti al Sud e il fortunatissimo sequel Benvenuti al Nord fino ad arrivare a Un boss in salotto e La scuola più bella del mondo, infatti, il regista partenopeo ha collezionato una lunga serie di ottimi incassi al botteghino, non sempre accompagnati tuttavia da un altrettanto riscontro da parte della critica.

Una media di quasi un film all’anno che trova conferma anche in questo 2016 con Non c’è più religione, suo ultimo lavoro nel quale Miniero prova ad alzare il tiro soffermandosi su argomenti quali l’integrazione culturale e religiosa e la diminuzione del tasso di natalità in Italia. Tematiche delicate e attualissime che però vengono rese in maniera molto banale da una storia ricca di stereotipi e di gag comiche ormai fin troppo abusate per poter strappare una risata genuina e divertita.

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Nella piccola isola di Porto Buio, situata nel cuore del Mediterraneo, fervono i preparativi per il tradizionale presepe vivente che quest’anno ha un serio problema: l’unico bambino del paese è cresciuto e non può più interpretare il ruolo di Gesù neonato.

A Porto Buio non nascono più bambini da anni e così il sindaco Cecco e Suor Marta decidono di rivolgersi alla comunità musulmana, guidata da dal loro vecchio amico Marietto che adesso si fa chiamare Bilal, per procurarsi un nuovo piccolo da inserire nella grotta.

Una semplice richiesta si trasforma ben presto in un radicale scambio culturale dalle conseguenze scoppiettanti.

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Quello di Miniero è il classico caso di una carriera che rischia di essere identificata e ricordata solo ed esclusivamente per il grande successo di Benvenuti al Sud, e lo stesso regista non fa molto per scrollarsi di dosso questa etichetta. I suoi film, infatti, non sono altro che la solita e stanca riproposizione dello stesso canovaccio caratterizzato perlopiù dalla dialettica Nord-Sud, prese in giro degli usi e costumi delle opposte fazioni e una comicità che vorrebbe offrire uno spaccato della realtà sociale italiana, senza riuscirci neanche un po’.

Non c’è più religione non fa eccezione e l’unica differenza risiede nel fatto che la contrapposizione non è più tra gli stessi italiani, bensì tra italiani e mondo islamico di cui viene fornito un enorme e confusionario calderone allo scopo di creare sketch e gag divertenti. Obiettivo clamorosamente mancato in quanto Miniero, che ha anche contribuito alla sceneggiatura, dimostra ancora una volta di non essere né un autore che ama provare strade nuove né un abile narratore, come dimostrano i numerosi buchi di un plot poco credibile, grottesco e con tanti elementi non approfonditi e lasciati in sospeso.

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Anche il cast, che fino ad oggi era sempre stato il fiore all’occhiello della sua produzione, appare sottotono con Claudio Bisio, Angela Finocchiaro e Alessandro Gassmann male assortiti e poco padroni della scena.

Non c’è più religione, in conclusione, si appresta a diventare il peggior film di Miniero e a perdere il confronto con quasi tutte le commedie uscite in questo periodo.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • I bellissimi paesaggi dell’isola.
  • La sensazione di già visto.
  • Una comicità giocata sulle solite contrapposizioni.
  • Il cast male assortito e un trio poco comico.
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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Non c'è più religione, la recensione, 5.0 out of 10 based on 1 rating

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