Nope, la recensione

Nope, ovvero no. Un no categorico, senza ripensamento.

Questo avverbio di negazione, molto comune nello slang americano, sta a sottolineare nel nuovo film di Jordan Peele la convita volontà da parte dei personaggi protagonisti di non commettere i classici errori che fanno le vittime predestinate dei film horror. C’è una situazione potenzialmente pericolosa che ci suggerisce l’immediato intervento del protagonista? “Nope”, ribatte lui, come a dimostrare che non è così stupido da avventurarsi verso morte certa.

Una presa di posizione, dunque, che non suona però come una dichiarazione d’intenti perché in Nope, in fin dei conti, i personaggi che si trovano a vivere un’avventura straordinaria di cose irresponsabili ne fanno molte. Ma, ehi, è proprio questa la legge dello spettacolo! Quello spettacolo a cui sono votati da generazioni i membri della famiglia Haywood, nel cui sangue scorre l’origine stessa del cinema, quella vitale immagine in movimento che ha dato origine a tutto e di cui si è fatto protagonista il bisnonno di O.J. ed Emerald. I due, infatti, sono gli eredi del ranch Haywood, in California, che da decenni addestra cavalli da impiegare al cinema e in tv. Ma la famiglia Haywood possiede un primato: è proprio un loro avo, afroamericano, il primo attore ad essere comparso in un breve filmato di proto-cinema. Un uomo a cavallo, che ha segnato per sempre il destino degli Haywood che da allora in poi impiegarono i due mezzi per costruire la loro fortuna: i cavalli e il cinematografo.

In questo contesto, in cui Peele inserisce l’unico elemento tangibile di carattere sociale – l’uomo afroamericano come inconsapevole antesignano dello star-system hollywoodiano – va a costruirsi una vicenda perfetta per un episodio di Ai confini della realtà che frulla con una certa originalità fantascienza e critica all’attuale protagonismo da media e social-media, con un importante messaggio ecologista.

Nei dintorni del ranch Haywood cominciano a verificarsi strani fenomeni metereologici ed elettrostatici che, in primis, portano alla morte di Otis Haywood Sr. Passano alcuni mesi, mentre O.J. e Emerald continuano non senza difficoltà l’attività di famiglia, gli stessi fenomeni si ripresentano e O.J. è sicuro di aver visto sfrecciare nel cielo sopra il suo ranch un oggetto volante non identificato, probabilmente responsabile anche della morte del genitore. Istallato un sistema di videocamere a circuito chiuso, O.J. inizia a registrare ciò che accade sopra la sua testa e coinvolge anche la sorella Emerald, con la speranza di poter entrare in possesso di una testimonianza dell’esistenza di un UFO da vedere ai media. Ma quello in cui O.J. ed Emerlad si stanno cacciando è l’inizio di un vero e proprio incubo.

Messa da parte, almeno della sua forma più esplicita, la denuncia al razzismo su cui sono fondati gli Stati Uniti, che ha rappresentato fino ad oggi il trait d’union della sua opera registica e produttiva, Jordan Peele si diverte a mettere in scena un concentrato di cinema fanta-horror che omaggia tanto la fantascienza americana da Guerra Fredda quanto il monster-movie dell’epoca d’oro anni ’50 e ’60. Per muoversi in questi territori chiaramente derivanti da una passione personale per il genere, il regista di Get Out – Scappa e Noi non si sottrae all’espediente del meta-cinema (e meta-televisione) così da imporre un sottile filo rosso che racconta lo sfruttamento (tanto di animali, quanto di manodopera umana, tanto di creature fantastiche quanto di minoranze etniche) nel mondo del cinema e della televisione di ieri e di oggi.

Tutto inizia sul set di una sit-com immaginaria dei primissimi anni ’90, Gordy’s Home, in cui una famiglia americana multietnica ospita in casa un adorabile scimpanzé. Il problema è che, durante le riprese di un episodio “x”, lo scimpanzé che interpreta Gordy impazzisce, uccide, ferisce e sfigura i membri del cast e della crew.

Questo efficacissimo e inquietante incipit – che Peele ha rielaborato da un reale fatto di cronaca – ci introduce al focus di Nope: non si può addomesticare (leggasi schiavizzare) e sfruttare chi nasce libero, perché prima o poi la Natura farà il suo corso. E da qui facciamo la conoscenza dei fratelli Haywood, interpretati con talento dal vincitore di un Oscar Daniel Kaluuya – che aveva già recitato in Get Out per Peele – e Keke Palmer, ma anche di Ricky “Jupe” Park, tra i sopravvissuti al massacro di Gordy’s Home, ora cresciuto (e interpretato dallo Steven Yeun di The Waliking Dead e Minari) e animatore in spettacoli di cowboy. Personaggi che capitalizzando addomesticando cavalli da noleggiare ad Hollywood o imbastendo spettacoli che raccontano di improbabili incontri ravvicinati. Ma, soprattutto, che vogliono diventare protagonisti di quei racconti e imbastirne la loro futura fortuna.

Jordan Peele, che ha dimostrato in questi anni di avere un tocco molto originale nel rielaborare l’immaginario fantastico pregresso, parte da una classica storia di UFO, che è tanto The Twilight Zone (non a caso, lo sfortunato revival de Ai confini della realtà è stato curato dallo stesso Peele) ma anche un po’ Incontri ravvicinati del terzo tipo di Spielberg, per abbracciare poi il filone monster-movie con un piglio eccentrico e molto originale.

Nope si trasforma, pian piano, in Moby Dick in cui il mostro predatore che naviga i cieli sopra il ranch diventa la personale balena bianca di O.J., supportato nella sua folle impresa di successo tanto dalla sorella quanto dal ragazzo del negozio di elettronica, Angel (Brandon Perea), appassionato di UFO e cospirazioni, e dal regista Antlers Holst (Michael Wincott), che si offre di aiutare i ragazzi a filmare il mostro.

Jordan Peele parte da premesse sottilmente inquietanti che creano un’atmosfera vicina ai film di M. Night Shyamalan, ma abbandona presto ogni pretesa di spaventare lo spettatore, seguendo la strada dell’avventura fantastica spettacolare.

Sicuramente Nope funziona meglio quando viaggia nei territori del mistero e dell’inspiegabile – e le due sequenze sul set di Gordy’s Home con lo scimpanzé assassino sono dei piccoli capolavori di suspense – trovando qualche lungaggine di troppo nell’ultimo atto, quello più action e avventuroso.

Nel complesso, comunque, Peele conferma di possedere un grande talento di scrittura e nella messa in scena (si vedano gli esterni notturni splendidamente fotografati e il lavoro gigantesco sul sound design), ma soprattutto una visione molto personale dell’immaginario fantastico pregresso, che è capace di rielaborare con originalità e cognizione di causa.

Nope è meno politico di Get Out, ha un controllo più ponderato delle ambizioni che appartenevano anche a Noi, però è un prodotto profondamente differente da entrambi; una scheggia impazzita dell’attuale panorama cinematografico fantastico americano, altrimenti troppo uguale a se stesso, conformato a storie, personaggi e atmosfere che Peele cerca, riuscendoci, di evitare a qualsiasi costo.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Rielabora con grande originalità la fantascienza da Guerra Fredda e il monster-movie.
  • La prima parte ha un’atmosfera davvero magica.
  • Tutta la backstory sulla scimmia assassina è molto affascinante.
  • Dura almeno 15 minuti di troppo, per lo più concentrati nell’ultimo atto.
  • È il classico prodotto che divide: lo si può trovare geniale nelle idee e nel messaggio, ma anche tedioso nella costruzione e troppo “astratto” in alcune scelte tematiche ed estetiche.
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Valutazione: 7.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Nope, la recensione, 7.5 out of 10 based on 2 ratings

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