Oltre i confini del male: Insidious 2, la recensione
Dopo lo strano caso accaduto al piccolo Dalton, la famiglia Lambert ha di nuovo cambiato abitazione con la speranza di ricominciare una nuova vita serena. Le cose, però, non sembrano cambiare realmente e strani fatti continuano a tormentare la famiglia. Questa volta non è il corpicino di Dalton a fare da magione a sinistre entità ma quello di suo padre Josh. Renai, servendosi ancora una volta dell’aiuto dei due maghi dell’occulto Specs e Tucker, scoprirà che ad infestare il corpo di suo marito è lo spirito maligno di una donna anziana che sembra perseguitare Josh sin dalla sua infanzia.
Da grandi poteri derivano grandi responsabilità! Lo sa molto bene Peter Parker, ma lo sa altrettanto bene anche James Wan che forse inizia a pagare lo scotto di essere stato il papà di Jigsaw dando vita alla fortunata saga Saw – L’enigmista. Se da un lato la saga sull’Enigmista ha portato grande lustro al regista malese che dal 2004 ad oggi è riuscito a divenire uno tra i maggiori nomi di richiamo nel panorama del cinema horror, dall’altro lato aver partorito Saw è stata anche una sorta di maledizione dal momento che ora il sistema produttivo hollywoodiano sembra voler confinare Wan solamente al circuito del cinema dell’orrore. Per il regista, ormai, il rischio di ripetersi è elevato.
James Wan si ritrova ancora una volta alle prese con una ghost story e in tempi record, subito dopo aver realizzato The Conjuring – L’evocazione, con la spinta produttiva della BlumHouse porta sul grande schermo il seguito di Insidious. Con il primo capitolo, James Wan aveva saputo ibridare il filone case infestate con quello sulle possessioni realizzando un film che, pur se privo di particolari guizzi di originalità, risultava a modo suo fresco e a tratti innovativo. Per la prima volta Wan decide di cimentarsi con un sequel e lo fa adottando una formula piuttosto vincente, tipica di chi è realmente affezionato ai personaggi creati nel precedente film così da volerli vedere “crescere” anziché riproporre beceramente una situazione analoga a quanto accaduto nel capitolo precedente. Riesce così ad evitare ancora una volta la sensazione di déjà-vu e dimostra nuovamente che le idee non gli mancano e che nel genere riesce davvero a muoversi con una certa abilità. Ecco dunque che Insidious 2, più che un vero e proprio sequel, risulta essere tutt’uno con il primo film riprendendo la narrazione proprio dove l’avevamo vista finire, riproponendo tutti gli stessi personaggi e tutte quelle circostanze che erano state lasciate a metà. Un’operazione che per alcuni versi può ricordare Halloween di Carpenter e il suo seguito di Rosenthal. La scelta di impostare in questa maniera il sequel è sicuramente azzeccata, peccato però che a fine visione il film convince solamente a metà risultando senza ombra di dubbio il lavoro più debole all’interno della filmografia di James Wan.
Il punto debole del film, paradossalmente, coincide con il suo punto di forza, ossia nel voler portare avanti la storia dei personaggi e quelle situazioni lasciate in sospeso nel film precedente. In questo modo, infatti, se da un lato evita di ripetersi dall’altro incappa nello spiacevole errore di voler fornire troppe spiegazioni a ciò che nel primo film rimaneva celato dal mistero con il risultato di banalizzare molte situazioni che fino ad ora erano state accattivanti. Ci si riferisce, nello specifico, alla poco felice scelta di voler dare a tutti i costi un passato (anche piuttosto improbabile) alla misteriosa ed inquietante Sposa in Nero che perseguita Josh sin da quando era bambino.
Troppe spiegazioni gratuite, troppa voglia di voler trovare una giustificazione a tutto e a rimetterci non può che essere il fascino del film, quel mistero che nel primo Insidious generava inquietudine e in alcuni momenti persino angoscia.
Sceneggiato ancora una volta da Leigh Whannell, proprio come il precedente, Insidious 2 riesce nel tentativo di contaminare l’horror con una buona dose di ironia grazie nuovamente ai “siparietti” affidati ai due acchiappafantasmi sopra le righe Specs e Tucker. Questa volta però, a differenza del primo film che godeva di una buona struttura e una narrazione molto tesa, nonostante lo spettatore sia immerso nel cuore della storia già dopo pochi minuti la narrazione risulta eccessivamente statica per buona parte del film, a volte anche inutilmente ingarbugliata, dando l’impressione che forse, qualche ulteriore taglio in fase di montaggio, avrebbe sicuramente giovato al prodotto finale.
Giuliano Giacomelli
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