Omicidio all’italiana, la recensione
Una delle sorprese più divertenti e intelligenti della recente commedia italiana è stato due anni fa Italiano Medio, scritto, diretto, montato e interpretato da quel geniaccio di Maccio Capatonda. Un esordio fulminante, apprezzato dalla critica e capace di difendersi benissimo al botteghino non poteva rimanere un caso isolato e così, dopo la parentesi televisiva dell’esilarante sitcom Mariottide (che in un certo senso era spin-off di Italiano Medio) e una brillante esperienza da doppiatore nel film di Angry Birds, Capatonda – al secolo Marcello Macchia – è tornato al cinema con il suo secondo lungometraggio, Omicidio all’italiana.
Se Capatonda/Macchia avesse ancora qualche cosa da dimostrare, il suo ultimo film parla chiaro: siamo di fronte a un artista che ha trovato una chiave intelligente e originale per ridere dei tanti difetti dell’Italia, anzi dell’italianità. Il suo cinema, così come i suoi sketch in tv e sul web, sono satira, ma di quella che sa cogliere diritto nel punto pur creando un immaginario fatto di situazioni e personaggi sempre diversi e genuinamente divertenti. Ancora una volta, guardando anche Omicidio all’italiana, viene in mente il Paolo Villaggio dei bei vecchi tempi, quello di Fantozzi, per intenderci, quando con l’uso del paradosso e della cifra grottesca, rifletteva sui mali della società dell’epoca immolando alla causa un disgraziato che si faceva capro espiatorio di tutto il peggio racchiuso nel nostro Paese. Con le macchiette di Capatonda succede la medesima cosa e attraverso personaggi immaginari si ride e si deride la società contemporanea, votata all’apparenza e all’apparire.
Omicidio all’italiana ci immerge nella noiosa quotidianità di Acitrullo, un paesino arroccato nel centro Italia che conta poche decine di abitanti e in cui si riesce a giungere solo sbagliando strada. Il sindaco Piero Peluria, che ricopre questa carica da generazioni, non sa più cosa fare per valorizzare il suo paese, ormai destinato a morire, vista l’età media dei pochi abitanti rimasti. Una sera, però, la Contessa Ugalda Martirio In Cazzati rimane vittima di un incidente domestico e il sindaco, insieme a suo fratello e vice, ritrovano il corpo e hanno un’idea: perché non inscenare un misterioso omicidio così da attirare l’interesse dei media come accaduto a Cogne, Avetrana e Novi Ligure? Detto fatto! All’indomani del “misterioso omicidio” i giornalisti si riversano ad Acitrullo, tra cui il noto programma televisivo “Chi l’acciso”, trasformando quel paesino perfino in una meta per il turismo da cronaca nera. Ma i fratelli Peluria riusciranno a reggere il gioco?
Se conoscete già il pregresso di Maccio Capatonda, il cognome “Peluria” non vi suonerà nuovo visto che i due rozzi fratelli che fanno del folto pelo un motivo di vanto sono già comparsi in numerosi sketch e come personaggi ricorrenti nella serie di MTV Mario. Ora questi due personaggi, che hanno sempre il volto di Maccio Capatonda e Herbert Ballerina (Luigi Luciano), sono promossi a protagonisti per questa folle commedia che ama fare surf tra i generi.
In confronto a Italiano Medio, Omicidio all’italiana sembra mettere più carne a fuoco e riempie i 100 minuti di durata con tanti personaggi e tante situazione da dare l’impressione di assistere a una corsa. Allo stesso tempo, però, il nuovo film di Capatonda ha una particolare compattezza narrativa che gli consente di alternare il registro della commedia con quello del thriller, riuscendo perfino a piazzare un riuscito colpo di scena lì dove nessuno se lo aspetterebbe. Merito di una scrittura attenta e una conoscenza (soprattutto spettatoriale) dei meccanismi narrativi del cinema di genere, che riescono ad andare oltre il solo obiettivo di fare ridere.
Ma il piatto forte di Omicidio all’italiana, come è facile prevedere, è l’accentuata vena satirica che prende di mira il giornalismo italiano, nello specifico la televisione del dolore incentrata sulla speculazione dei fatti di cronaca nera. Tribunali televisivi in cui l’opinione dei tuttologi, le ricostruzioni tramite plastici e perfino il televoto sono molto più importanti delle indagini della polizia, anzi possono anche influenzarle. Il programma Chi l’acciso (facile da intuire l’ispirazione titolistica), condotto da Donatella Spruzzone (anche qui non si fatica a individuare la citazione), è un’autorevole fonte di notizie anche se ama manipolare gli eventi in favore dello share; così come la polizia è composta da incapaci o perdigiorno con manie di protagonismo, tra i quali si distingue per operosità solo la giovane poliziotta Gianna Pertinente, interpretata da una brava Roberta Mattei. E poi c’è il turismo da cronaca nera, con improbabili famiglie miste nord-sud (lui è interpretato sempre da Maccio Capatonda, lei dalla Antonia Truppo di Indivisibili e Lo chiamavano Jeeg Robot) che amano fare vacanze tendy sui luoghi dei delitti, che per l’occasione si riempiono di negozi di souvenir a tema. Non manca la politica che ne approfitta per strumentalizzare l’accaduto, dando la colpa agli immigrati (i “necri” nel film), all’euro, alla svalutazione del concetto di famiglia.
Insomma, un film davvero denso, che fa ridere di pancia grazie ai continui giochi di parola e alle gag surreali di Herbert Ballerina, ma fa anche pensare a quanto è caduta in basso la tv, la politica, il giornalismo, le forze dell’ordine e gli italiani nel complesso. In un cast ricchissimo e variegato, compaiono anche Sabrina Ferilli, Nino Frassica, Ninì Bruschetta, Gigio Morra, Fabrizio Biggio e l’immancabile Ivo Avido, nonché un cameo a sorpresa di Rupert Sciamenna… e i capatondiani esulteranno.
Manca ancora qualche cosa a Maccio Capatonda/ Marcello Macchia per fare visivamente un Cinema con la “C” maiuscola, ma l’intelligenza dei concept, l’abilità di scrittura e la riuscita delle gag ne confermano il talento.
Roberto Giacomelli
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