Pacifiction – Un mondo sommerso, la recensione
Tahiti, l’alto commissario della Repubblica De Roller, rappresentante dello Stato francese, è un freddo calcolatore dai metodi e modi impeccabili; abile nel destreggiarsi sia tra l’alta borghesia che tra la popolazione locale che popola i locali loschi che è solito frequentare.
Immerso nella sua stessa atmosfera, Pacifiction – Un mondo sommerso è un thriller politicamente disturbante che si presenta sotto una forma strana che disorienta lo spettatore.
Capace di lasciare chi lo guarda tanto confuso e stordito quanto i personaggi che abitano le inquadrature del suo film, Albert Serra cuce insieme una serie di linee narrative che si districano e si intersecano fra di loro per tutta la durata dell’opera. Scegliendo di omettere molte delle svolte principali e lasciando molti interrogativi aperti, il film si mostra, a causa anche della sua lunga durata, inevitabilmente asciutto, senza che qualcosa venga mai veramente esplicitato o che qualcuno si esprima fino in fondo; dando allo spettatore la sensazione che ci sia un non-detto di fondo e un sottointeso che è inteso però solo dal regista e che non viene mai veramente compreso da chi guarda il film.
Con una fotografia splendida capace di cogliere perfettamente il senso enigmatico del mistero che gravita al centro del film, Pacifiction è un incubo di segreti coloniali e intrighi politici che peggiora sempre più sprofondando in un baratro di paranoia, man mano che la tensione si infittisce. Partito di fatto come un thriller altamente drammatico, il film di Serra si trasforma lentamente in un horror sotto la luce del sole, un film che, concettualmente, tenta di rendere frustrante l’esperienza dello spettatore e contemporaneamente attirarlo e scioccarlo.
Terrore e afflizione sono palpabili per tutto il film, merito anche di un protagonista che si pone la volontà di impedire che i cambiamenti in atto per tutto il corso della storia avvengano, trovandosi più volte di fronte alla realtà di un’impotenza ancora superiore di quanto già non fosse presente nella sua condizione iniziale. Un triste film dove i giochi di potere e le dinamiche sociali portano lo spettatore a sperare in un futuro ribaltamento dei ruoli.
Pacifiction si configura come una splendida opera dal punto di vista del sottotesto politico, capace di approfondire un soggetto complesso e ampio come il colonialismo e le sue conseguenze sulle popolazioni e i territori occupati; la struttura del film, però, rimane spesso troppo lunga o troppo poco chiara. Una struttura tentacolare che lo porta ad essere irrimediabilmente confusionario in alcuni tratti, rendendo il tutto alla lunga frustrante.
Nonostante la confusione e la frustrazione, con Pacifiction si è difronte a un’ottima spirale di tensione capace di intrappolare un determinato tipo di pubblico più avvezzo a certo cinema, quel cinema che si inserisce, goffamente, nel solco di Lynch e di altre opere del cinema della modernità; arrivando però ad allontanare un pubblico più indigesto a certi formalismi e disconnessioni narrative.
Affascinante, sinistro e paranoico allo stesso tempo, il lavoro di Serra si presenta nel complesso come un’opera che chiede molto allo spettatore, ma che se si è disposti ad ascoltare ciò che il film ha da dire, può regalare un’incredibile esperienza cinematografica.
Emanuele Colombo
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