Paranormal Activity 2, la recensione

I coniugi Ray si sono da poco trasferiti in una nuova casa in California; insieme a loro la figlia adolescente Ali, il neonato Hunter, la cagnolina Abby e la tata Martine. In seguito all’irruzione di alcuni vandali, che metto a soqquadro l’abitazione, i Ray decidono di istallare in tutta casa una serie di telecamere a circuito chiuso. Ma una strana presenza comincia a scatenarsi nella casa e sembra mirare soprattutto al piccolo Hunter. Solo le telecamere posso testimoniare cosa accade di notte in casa Ray.

 Nel 2009 Paranormal Activity è stato un caso cinematografico: da film semi-amatoriale (circa 15 mila dollari di budget e nessuna esperienza da parte degli autori) si è giunti a grandi incassi (oltre 100 milioni di dollari solo negli States) grazie a una efficace campagna di marketing e una messa in scena tanto spartana quanto realmente inquietante. Con dati del genere era facile aspettarsi che Hollywood mettesse mano sull’opera per trasformarla nella nuova gallina horror dalle uova d’oro e così è stato. La Paramount prende le redini del progetto, rimpolpa il budget a quasi 3 milioni di dollari, arricchisce il cast e affida il tutto a un nuovo regista, Tod Williams, che nel suo curriculum ha un drammone con Jeff Bridges (The Door in the Floor). Il risultato al botteghino è di quelli che fanno sfregare le mani ai produttori e li spronano a mettere in cantiere il numero 3, ma di fatto abbiamo un passo indietro qualitativo che fa intravedere in ogni frame la frettolosità dell’operazione.

I motivi per cui Paranormal Activity 2 non funziona sono inversamente proporzionali ai punti di forza del primo capitolo. Il minuscolo film di Oren Peli – che qui si ritaglia il ruolo di produttore – riusciva a creare tensione e inquietudine mostrando poco ma centellinando efficacemente la paura in situazioni ben proposte. Paradossalmente il sequel è più parco di momenti paurosi e si impegna in modo così certosino nel rimandare le occasioni di paura da trasformarsi inevitabilmente in noia. Paranormal Activity 2, infatti, utilizza le sessioni notturne, ovvero quelle in cui dovrebbe manifestarsi la presenza, in continui falsi allarmi, concentrando i filmati notturni che compongono i primi 50 minuti di film in inquadrature fisse dei vari locali videosorvegliati in cui non accade praticamente nulla.

Se Peli nel primo film portava da subito la vicenda nel vivo mostrando un crescendo di manifestazioni paranormali, Williams nel sequel non riesce a calibrare le attività paranormali. Avremo così una prima ora eccessivamente statica e un finale tronfio di accadimenti a tal punto che tutto ciò che succede ha l’effetto di lasciare indifferente lo spettatore. In Paranormal Activity bastava una porta che si chiudeva lentamente o il rumore dei passi sulle scale per far venire la pelle d’oca allo spettatore, nel sequel bambini volteggianti e persone trascinate da una forza invisibile per tutta la casa non riescono a colpire più di tanto, soprattutto perché arrivano tutte insieme quando ormai lo spettatore è assopito da tempo.

Un altro elemento vincente di Paranormal Activity era il punto di vista sul letto dei protagonisti, una videocamera fissa che violava letteralmente l’intimità della coppia e trasmetteva quel senso di vulnerabilità che solamente quando si dorme si riesce a raggiungere. In Paranormal Activity 2 questo viene meno perché gli occhi elettronici di moltiplicano, si quintuplicano e vanno ad insediarsi in posti meno strategici per la creazione dell’ansia spettatoriale. Il circuito chiuso sorveglia la piscina, l’ingresso, la cucina, il soggiorno e la stanza del bambino; nei primi quattro non succede praticamente mai nulla, nell’ultimo di tanto in tanto si spegne la luce e qualcosa attira l’attenzione del cane. Il tutto finisce per minimizzare i momenti di terrore per il semplice fatto che viene a mancare un’adeguata scelta dei luoghi e dei momenti da sconvolgere con l’irruzione del sovrannaturale.

Anche il fatto di aver accresciuto il numero di personaggi gioca a sfavore della tensione perché viene a mancare un personaggio con cui identificarsi e su cui concentrare l’attenzione paranormale. Se nel primo film c’era Kate, qui a volte sembra essere Ali, la ragazzina, altre Kristi, la mamma, tenendo però presente che sembra essere Hunter, il bambino, il punto d’interesse del demone. Capirete che in una situazione del genere è anche difficoltoso impiantare un buon mockumentary.

Regista e sceneggiatori sono poi voluti andare sul sicuro in modo anche troppo eccessivo, dal momento che Paranormal Activity 2 presenta una struttura narrativa praticamente identica a quella del primo film, con tanto di intervento – che va a vuoto – da parte di una persona dotata di facoltà benefiche (qui è la tata di origini ispaniche che conosce bene le pratiche per scacciare il male), tentativo di seduta spiritica con tavoletta ouija e addirittura ricerca di informazioni – che va a buon fine – sul web. Insomma, ogni elemento sembra rimandare al film di Oren Peli, con unica eccezione del climax finale che qui è plagiato da REC…anzi, diciamo da Quarantena, visto che in America hanno conosciuto il remake.

Dunque, non convince proprio nulla di questo Paranormal Activity 2?

Non è proprio così. La struttura temporale che collega questo film al suo predecessore è intrigante e apprezzabile nel suo essere sia prequel che sequel di Paranormal Activity. La vicenda si svolge prima dei fatti narrati nel primo film ma poi trova un punto di congiunzione e riesce perfino a mostrare le conseguenze alla tragica notte dell’ottobre 2006. Il modo con cui si aggiungono elementi alla vicenda portante e l’introduzione di risvolti che portano chiarezza alla vicenda di Kate e Micah è apprezzabile e così si ha un senso di completezza tale da dare ai due film la possibilità di essere visti come un’unica opera.

Anche alcuni singoli momenti di paura funzionano nella loro semplicità e a riguardo va citata la scena alla Poltergeist in cui la cucina letteralmente esplode o il momento in cui Ali si addormenta davanti alla tv.

In generale, comunque, Paranormal Activity 2 appare un inutile tentativo di battere il ferro finchè è caldo senza avere le idee giuste per farlo. Si replica con la carta carbone, si punta sulla staticità e sulla noia, si riducono i momenti di paura. Prendete atto di questi dati e valutate se vale davvero la pena di dare una chance a questo sequel.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Alcuni singoli momenti di terrore.
  • Il modo come si collega al precedente film.
  • Ripete esattamente la struttura del primo film, ma con meno senso dell’inquietudine.
  • Aumentare i punti di vista riduce la paura.
  • Per un’ora abbondante non succede praticamente nulla e il film dura anche più del dovuto.
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