Pelé, la recensione

Ci sono personaggi dello sport che travalicano i propri confini di competenza per diventare icone di un’epoca e modelli da seguire per migliaia di ragazzini che sognano di imitare le loro gesta. Tra questi c’è Edson Arantes Do Nascimento, meglio conosciuto come Pelé, una figura troppo imponente da essere catalogato come semplice calciatore in quanto lui, alla pari di Maradona, è il calcio.

Unico giocatore capace di vincere 3 coppe del mondo e miglior realizzatore di sempre (1283 gol in 1366 partite), O Rei – questo l’altro suo soprannome –  non è stato solo un grande campione sul campo, ma anche un uomo impegnato nel sociale, sempre pronto a lanciare messaggi positivi e ad aiutare le persone più sfortunate. Una favola partita da un povero villaggio del Brasile e culminata nel mondiale di Svezia del 1958 nel quale un ancora diciasettenne Pelé portò al trionfo la nazionale sudamericana accompagnata da tutti gli sfavori del pronostico.

Proprio su questa storia, così emozionante e ricca di spirito di rivalsa, i fratelli Jeff e Michael Zimbalist realizzano il proprio lungometraggio d’esordio, dal titolo Pelè, nel quale raccontano la nascita della leggenda, le sue origini e il suo primo grande successo.

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Dico è un ragazzino che, come tutti i suoi coetanei, passa intere giornate a giocare a calcio per strada sfidando anche i ragazzi più grandi che lo prendono in giro e lo maltrattano. La sua vita cambia quando un giorno, durante un torneo giovanile, viene notato dal talent scout del prestigioso Santos Fc, club nel quale Dico, che nel frattempo è stato soprannominato Pelé, si impone a suon di gol come astro nascente del calcio brasiliano. Le ottime prestazioni gli valgono la convocazione nella nazionale in partenza per il mondiale di Svezia nel quale il Brasile parte da sfavorito assoluto. Ma questa volta in squadra c’è Pelé il quale porta, a soli 17 anni, al trionfo la sua squadra fornendo anche un gioco spettacolare.

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Il materiale di partenza è dunque di quelli accattivanti e in grado di emozionare il pubblico, se non fosse per il fatto che i fratelli Zimbalist non si scrollano di dosso la loro passata attività da documentaristi e danno vita ad una pellicola molto simile ad un film per la TV di stampo documentario, appunto, con tutti i suoi pregi e difetti. Gli aspetti positivi sono riscontrabili in un’ottima ricostruzione degli ambienti in cui il protagonista è cresciuto, la riproposizione nel complesso credibile degli avvenimenti della sua infanzia e una fedele ricostruzione delle azioni di gioco delle partite contro la Francia e la Svezia, eccezion fatta per alcuni gesti tecnici (su tutti “l’elastico”) che non furono davvero eseguiti dal numero 10 carioca. Tutte caratteristiche che dimostrano come i due registi, che del film sono anche sceneggiatori, conoscano perfettamente l’argomento e abbiano eseguito un mirabile lavoro di ricerca.

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Uno stile sicuro e coerente durante tutta la narrazione che tuttavia rende alla lunga Pelè un film scolastico, monocorde e, soprattutto, goffo e ridondante nel momento in cui cerca di puntare sull’aspetto sentimentale della storia. Risulta, infatti, stucchevole il discorso trito e ritrito sulla metafora del calcio che, come la vita, offre a tutti una seconda possibilità di rivincita, sia al Brasile dopo la sconfitta con l’Uruguay nel 1950 che allo stesso Pelé dopo il grave infortunio al ginocchio che lo stava per costringere a saltare il torneo; ancora più banalizzato e stereotipato è l’inconcludente contrapposizione fra la Ginga, lo spirito spensierato e gioioso dei brasiliani con cui gioca il protagonista, e la voglia di concretizzare del suo allenatore a seguito delle ultime rovinose sconfitte della sua squadra.

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Decisamente positive le prove del cast nel quale spiccano i due giovani Leonardo Lima Carvalho e Kevin de Paula, rispettivamente nei panni di Pelé da bambino prima e da ragazzo poi, e un Vincent D’onofrio ben calato nella parte di un allenatore scontroso, burbero ma poi capace di ricredersi e inchinarsi davanti all’immenso talento del suo giocatore

Pelè, in conclusione, rimane un film da vedere per gli appassionati di sport ma che non è minimamente all’altezza del campione di cui racconta le gesta.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • Accurata ricostruzione degli eventi e delle azioni di gioco.
  • Buone le prove del cast.
  • Incapacità di esprimere il lato emozionale della storia.
  • Retorica che sprizza da tutti i pori.
  • Discorsi triti e ritriti.
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