Resta con me, la recensione
Cast Away, All is Lost, Vita di Pi, Open Water… ma non dimentichiamo I prigionieri dell’oceano di Alfred Hitchcock. Tutti titoli celebri che hanno eletto l’oceano a grande temibile avversario dell’uomo, un luogo tanto affascinante quanto ostile, soprattutto se ad affrontarlo sono persone sole, impaurite e ridotte a condizioni estreme. Oggi alla lunga lista dei film di sopravvivenza in mare si aggiunge Resta con me, infelice titolo italiano per ben più calzante Adrift, dramma ispirato alla vera storia di Tami Oldham Ashcraft, che nei primi anni ’80 rimase vittima di una violenta tempesta mentre si trovava in mare aperto insieme al fidanzato Richard Sharp.
Il film diretto dall’islandese Baltasar Kormàkur si ispira alla biografia della vera Tami Oldham Ashcraft, consultata dagli sceneggiatori Aaron Kandell, Jordan Kandell e David Branson Smith per portare sul grande schermo la vicenda nel modo più fedele possibile. Ma non è la fedeltà ad interessare principalmente lo spettatore, quanto l’alto grado di coinvolgimento che il film riesce a trasmettere, immergendoci immediatamente in un’atmosfera di allarmante pericolo.
Resta con me si apre con il naufragio, una spaventosa tempesta che scaraventa in mare Richard e lascia sola e ferita Tami sulla barca a vela, alle prese con l’albero maestro spezzato e un foro nello scafo che fa penetrare velocemente l’acqua. Da questa situazione estrema parte un flashback che ci racconta chi sono Tami e Richard, dove si sono conosciuti e perché sono in mare. Lei è una ventenne americana in cerca d’avventura, lui un trentenne inglese che l’avventura l’ha trovata e, a bordo di una barca a vela che si è costruito da solo, cerca lavori di porto in porto. L’incontro fortuito, l’innamoramento, la proposta di matrimonio. I due hanno una missione da compiere prima di poter convolare a nozze: attraversare l’Oceano Pacifico, da Tahiti a San Diego, per consegnare la barca a vela su cui stanno viaggiando. Ma un violento uragano si abbatte sull’imbarcazione, danneggiandola pericolosamente e ferendo gravemente Richard. Sarà compito di Tami badare al fidanzato e giungere sulla terraferma, nonostante gli scarsi viveri e le condizioni di fortuna su cui si trova a viaggiare.
Con una narrazione che alterna i piani temporali, mostrandoci ad incastro passato e presente, Resta con me riesce a tener desta l’attenzione grazie al ritmo costante e a un’ottima resa dello spirito d’avventura. I 41 giorni che Tami passa in mare vengono ben addensati per mostraci tutte le difficoltà con cui un naufrago si trova a combattere, dalla sete alle intemperie, passando per le allucinazioni e il procacciarsi cibo, dato quest’ultimo che mette a dura prova la fermezza d’animo della ragazza, convinta vegetariana prima di imbarcarsi e provetta cacciatrice di pesce in seguito al naufragio.
A confermare la riuscita del film contribuiscono i due attori protagonisti, Sam Claflin e soprattutto Shailene Woodley, che finalmente è alle prese con un ruolo maturo da protagonista, lontano dalle facili carte emotive degli esordi e dalle nefaste saghe young adult. Un ruolo chiave lo gioca però anche la regia di Baltasar Kormàkur, che abbiamo già conosciuto in ambito action con Contraband e Cani sciolti e in ambito survivalism con il poco fortunato Everest, che qui coglie l’essenza della storia inquadrando i momenti più suggestivi del film a filo d’acqua. La macchina da presa, infatti, si trova sempre con uno sguardo sospeso tra la superficie del mare e l’immediata profondità, aiutando così lo spettatore a entrare a pieno nelle immagini.
Nonostante la promozione italiana faccia pensare a un melò, Resta con me è un survival movie nudo e crudo, spesso particolarmente duro nel mostrare la difficoltà e la sopravvivenza estrema e capace di assestare almeno una trovata di sceneggiatura affatto prevedibile.
Da vedere.
Roberto Giacomelli
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