Ritratto di famiglia con tempesta, la recensione

Campione di un cinema umanista asciutto nella forma e sottile nella struttura, infuso di grazia malinconica, Kore-eda Hirokazu è stato più volte accostato per la leggerezza del suo tocco e la profondità dei contenuti allo sguardo di Ozu Yasujiro, anche se per la verità bisognerebbe aggiungere come la legittimità di questo rapporto di filiazione sia stata messa in discussione dallo stesso regista. Oggi l’autore giapponese riscatta con Ritratto di famiglia con tempesta certi eccessi di sentimentalismo del suo precedente imperfetto ma interessante Little Sister, e prosegue nell’esplorazione di quell’universo familiare che tanto lo ha interessato nel corso degli anni, se pensiamo a titoli come Still Walking ( 2008) o, più recentemente, al decisamente riuscito Father and Son (2013).

La storia è quella di Ryota (Abe Hiroshi), romanziere incompiuto, mediocre ex marito, padre maldestro, investigatore privato col vizio del gioco, sempre indietro con bollette e alimenti, figlio di madre vulcanica, adorabile e rassegnata (Kiki Kilin). Una notte di tempesta, il perimetro delimitato dell’appartamento materno, la presenza dell’ex moglie (Maki Yoko) e del figlio (Yoshizawa Taiyo), basteranno a riannodare i fili di una vita sbagliata?

Lo scarto fra la vita sognata e la vita vissuta è materia scabrosa e avvilente. Ritratto di famiglia con tempesta gioca con questa idea, allude a un senso di fallimento generalizzato che abbraccia i percorsi di vita di tutti i personaggi e allude un bisogno di redenzione, ad una ricerca della felicità guastata dall’inesorabile scorrere del tempo per la quale non esistono risposte certe, temperando tuttavia l’afflato malinconico dei toni con punte di umorismo che non banalizzano, ma anzi rinvigoriscono il senso generale del racconto.

Racconto che vive di frammenti, tranches de vie dicevano i francesi, che nella semplicità e apparente spontaneità della costruzione nascondono verità dal respiro più ampio.

Ritratto di famiglia con tempesta è un film serio, ma non serioso, malinconico senza furbizia, ironico ma non irrispettoso. Il senso della sua riuscita sta nel delicato gioco d’equilibrio fra gli ingredienti materializzato a partire da un lavoro di sceneggiatura che insinua l’emozione fra le pieghe del quotidiano e nel non detto. Molto deve il film, che ha fatto capolino a Cannes 2016 nella sezione Un Certain Regard, all’efficacia del suo cast, che Kore-eda assembla ripescando volti noti dal suo recente passato. In un panorama contemporaneo che si nutre principalmente di storie urlate e verità isteriche, il cinema di Kore-eda Hirokazu, con la sua quieta disperazione, la sua ironia e il suo approccio non moraleggiante costituisce un controcanto auspicabile e necessario. Un cinema di nicchia in cerca di platee più ampie, che stimola, con intelligenza e apparente leggerezza, una risposta coraggiosa da parte di un pubblico disposto a deragliare felicemente, un deragliare momentaneo, dall’offerta cinematografica standard. Le ricompense non mancheranno.

Francesco Costantini

PRO CONTRO
L’ottima alchimia fra figlio (Abe Hiroshi) e madre (Kiki Kilin), già insieme in Still Walking. Forse più lungo del necessario.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Ritratto di famiglia con tempesta, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

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