Sp1ral, la recensione

Non è vero che un bambino che si è bruciato sta lontano dal fuoco. È attirato dal fuoco come una falena dalla luce. Sa che se si avvicina si brucerà di nuovo, ciononostante si avvicina.”

Con queste sinistre parole di Stig Dagerman, che fungeranno da mefistofelico preambolo, prende forma la pellicola indipendente dell’esordiente Orazio Guarino intitolata SP1RAL, distribuita da Naffintusi il prossimo 21 aprile e interpretata da Marco Cocci, Valeria Nardilli, Michele Bevilacqua, Cristina Puccinelli, Mariagrazia Pompei, Giorgio Consoli, Stefano Skalkotos e Angelo Del Vecchio.

Prodotto appunto dalla Naffintusi, con le oniriche musiche di Rocco Cavalera, il film racconta di Matteo Moella, un regista controverso ma di successo. Vive e lavora a New York dove è anche in riabilitazione per curare uno stato di sofferenza patologica di cui soffre da anni.

Durante le prove del suo ultimo lavoro, una telefonata dall’Italia lo avverte della morte del padre. Matteo lascia New York e la sua vita per tornare al paese dove è cresciuto e alla casa al mare che il padre gli ha lasciato. La spiaggia della sua infanzia diventa il suo rifugio, inaccessibile a tutti tranne che ad Alice, una giovane e bella ragazza, che, nonostante lo scarto anagrafico, sembrerebbe aprire una breccia grazie al suo entusiasmo contagioso, che tuttavia potrebbe non bastare a scalfire quel muro di ragnatele ed insoddisfazioni che Matteo ha eretto tra lui e il resto del mondo.

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I suoi fantasmi, onnipresenti, lo trascinano di nuovo in una spirale di ricordi e ossessioni da cui sarà sempre più difficile uscire.

Matteo infatti vive, pensa, respira ed agisce ad un ritmo completamente diverso rispetto alla media, anche rispetto alla media newyorkese: sembra che il suo spirito inquieto sia tarato su una dimensione diversa, dalla quale egli, giorno dopo giorno viene inesorabilmente assorbito.

L’immagine del protagonista è quella di un contenitore vuoto che ad intermittenza sembra voler chiedere d’essere colmato, ma né la caotica e roboante New York, con i suoi dinamici abitanti, né l’incolore e dormiente paese natio sembrano essere all’altezza delle aspettative.

Le uniche fonti di sostentamento del povero Matteo saranno la scrittura, l’arte e le droghe, che faranno da cornice ad un sistema vitale tanto tragico quanto farraginoso, rappresentato con maestria dalla performance di Marco Cocci che, senza dubbio alcuno, è la punta di diamante di una produzione non scevra da difetti, ma generalmente ben riuscita.

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Difetti che trovano il loro apice nella sceneggiatura, che presenta poca cura nella scrittura dei dialoghi e alcuni degli attori decisamente non all’altezza del protagonista.

Siamo comunque a livelli molto buoni per lo standard attuale delle produzioni indipendenti italiane che, seguendo la cresta dell’onda dell’acclamato Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, aiuterà a dare nuovo lustro a quello che per qualche anno era stato un terreno arido e ostile.

Orazio Guarino mette in scena un mondo crudele e impietoso, dove non solo l’infanzia segna tragicamente il futuro a venire, ma dove non vi è scampo per i principi morali dell’individuo. Il fitto sistema mentale di Matteo lo traghetta verso un’esasperante mancanza di ogni scrupolo: è l’unica soluzione per sopravvivere. È questa la lezione su cui gioca il titolo. Alice, efebica creatura appena sbocciata e drasticamente innamorata, riceverà l’insegnamento più duro da una maestra altrettanto severa: la vita.

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Il film riesce a rendere bene questo senso di crudeltà ed estraniazione con una regia lineare e basata sui sensi, che segue con la camera a mano costantemente Matteo, mostrandoci impietosamente tutta la disperazione e la crudeltà dietro e attorno la miseria, morale ed esistenziale: in una parola, “solitudine”.

Quello che più colpisce lo spettatore non è la parvenza di un film che pretende di raccontare a tutti i costi una storia diversa, ma la grande personalità con la quale essa è raccontata. La volontà di intrattenere il pubblico è palpabile, così come il sapore dolce-amaro che ne deriva.

Crudele e disperato, Sp1ral nelle intenzioni del regista vuole essere un film dedicato “alle persone che combattono la quotidianità percepita dal regno intangibile dell’io profondo”. La prima battaglia è stata vinta. Ora si può solo che aspettare le successive.

Filippo Chinellato

PRO CONTRO
  • Atmosfera che rende perfettamente la frustrazione di Matteo.
  • Buon coinvolgimento emotivo.
  • Musiche stranianti ed emotivamente pungenti.
  • Alcuni passaggi prevedibili.
  • Uso poco accorto di aforismi, del tutto inutili alla stratificazione di personaggi e trama.
  • Finale poco chiaro.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Valutazione: +1 (da 1 voto)
Sp1ral, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

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